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L'ANIMALE

racconto verità di Rodolfo de Matteis

CAPITOLO 2º

 

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1º giorno

Mi  sveglio solo la mattina dopo, com’erano venuti tutti son andati via, strano, di solito in molti restano. Allora ributto giù la testa, per godermi come ogni giorno la voce della giungla che si sveglia, gli uccelli a milioni che cantano, le mosche che ronzano, lo stormire delle foglie, le scimmie che urlano, il ruscello giù che scorre verso il lago o meglio, come dice il poeta,  in una cascata di perle fugge verso l’infinito… e sì il ruscello è lì che mi coccola e mi ricorda d’esser vivo e che il mondo è vivo e tutti corrono ai loro impegni, più o meno leciti. Il fiume del tempo, lo Stige e me la ridacchio nella testa, ma perché pensar a questo? Il mio ruscelletto, tanto piccolo, che a volte gli devo costruire gli argini nella stagione secca, per far in modo che non si perda in mille rivoli e vada in letargo un mese prima del dovuto, o meglio per farlo lavorare un mese ancora, mese che regala a noi eterni assetati… il mio rivolo, lo Stige?

E allora mi accorgo che è il solo suono, continuo. Nella giungla, a parte il ruscello… regna il silenzio!

Mi raggelo un po’, un po’ di più del solito almeno, quando di colpo alcune mattine inizio a sentire tutte le voci della giungla e mi rendo conto che sino ad allora non le sentivo, che ero ancora una volta immerso nei miei pensieri, tanto rumorosi pensieri da coprire una giungla che urla ride gioca… ma oggi no, non gioca la giungla… solo il ruscello come lo Stige corre nel tempo, o lo crea… eppure son vivo, a meno che pure i morti non sentano il contatto pesante colla terra, il fresco alito della mattina, la bava appiccicata di lato alla mia faccia… 

Scioperano le scimmie? il pensiero mi fa ridere. Ad un tratto il grufolare.  Un brivido mi sale su per la schiena e scatto in piedi d’un botto e corro a guardare giù nel buco, il gran buco nel gran albero nella gran giungla lo chiamiamo scherzando, quando c’è qualcuno con cui scherzare, e guardo sotto: niente.

Niente, niente, nemmeno i resti delle offerte della notte, niente. Nessuno. La giungla tace, io pure fermo il  mio respiro, il mondo si ferma ad aspettare, passano i secondi, passa un’eternità nella quale scorre solo il rio. E poi… eccolo: il grufolare!  Proprio lì sotto di me, nel gran buco, o gran burrone penso, e mi riferisco al magico mondo degli elfi, per fortuna… vabbe’ che son nudo e non potrei cagarmi sotto, sotto a che? sì sì, la meraviglia, lo stupore d’esser giunto a Gran Burrone, questi pensieri mi salvano dal gelo, il cuore si apre, invece di serrarsi come una morsa ghiaccia che strizza le budella, ebbene il cuore mi si apre, sento amore, sento rispetto e meraviglia, incontrandolo, infine.

L’Animale è maestoso  lì sotto di me, lo si sente chiaro e forte il suo razzolare il suo respiro, inequivocabile respiro di bestia, il mio stupore il mio rispetto il mio amore, il suo è un abbraccio, un abbraccio eterno e antico alla mia anima alla mia essenza al mio DNA, non c’è dubbio che sia lì l’Animale, lo Spirito Antico.
Eppur non si vede nulla.

Passa chissà quanto tempo in cui sto lì, in silenzio io, in silenzio la giungla. Poi il pensiero, la fame. E corro in mezzo ai piatti sporchi lasciati dappertutto, la chitarra, i pacchetti di sigarette vuoti qua e là, i tamburi, il macete, le stuoie, il camandol rovesciato… niente, non c’è niente da mangiare.  Non han lasciato niente, si son mangiati tutto, i barbari, la banda, gli amici… mica solo i funghi, prima i funghi… poi si so’ razzolati tutto… han fatto piazza pulita, come gli voglio bene, li sento vivi li sento amici li sento simpatici stamattina, però, cazzo! Non han lasciato niente… E come faccio io?

Poi sì, la mia dispensa dell’emergenze, mi arrampico veloce sull’albero ed appesa a quel ramo nascosta dalle foglie, la mia busta, il mio vizio: i biscotti!

Apro veloce la confezione familiare di Marie, che buoni i Marie quando li inzuppi a due a due nel Chai! nel chai caldo color caffelatte, che sa di cannella e cardamomo, cremoso il chai, morbidi e dolci i Marie, a due a due li si inzuppa e devi metterli in bocca veloce prima che si ammollino troppo e splash si rituffino giù nel chai, che schizza fuori e vanno a fondo e quante volte senza manco il cucchiaino ho tentato di ripescarli col dito, invano, a pezzetti flaccidi che sgusciano ancora… perché sì: il chai è chai, i biscotti so’ biscotti, quella melma che diventa il chai coi biscotti sciolti dentro, no!

Eppur stavolta non ho messo la pentola, acceso il fuoco, quasi sempre solo da ravvivare che sempre cova sotto le ceneri, no stavolta le mie mani aprono la confezione familiare, tirano fuori il tubo bianco, e via di corsa a Gran Burrone e da sopra apro la carta e lascio cadere i Marie, tutti, di sotto. E sono lì in mezzo alle foglie, vicino a quel fiore.

E vado via con rispetto, a mettere a posto il disastro che ha lasciato la festa, mentre gli uccelli ricominciano a cantare, le scimmie a litigare.

Manco a dirlo che più tardi dei biscotti neppure l’ombra.

 

2º giorno

Non posso dormire, mi sveglio prestissimo, non è ancora chiaro ma la vibra è già mattutina, i rumori sono quelli dei primi animali diurni che si svegliano, quegli uccelli che cantano ogni giorno prima del sole, quei fruscii, quell’alito fresco nell’aria, quel tremore dell’attesa del miracolo, del miracolo del ritorno della luce.

Quanti lo danno per scontato non sanno cosa perdono. La Luce il Sole… la Natura beffarda potrebbe farcelo lo scherzo prima o poi.

Il pensiero ce l’ho ché ieri son stato al villaggio, passando su per il monte per non incontrare nessuno, non voglio vedere nessuno. O meglio vorrei vedere solo lui, l’Animale, quel nulla grufolante quel dio senza volto quel guerrigliero dello spirito quel sans-papier transdimensionale quel divoratore d’offerte quel mistero che mi sveglia urgente. Però resto a letto, ovvero se si può chiamare letto il suolo la stuoia di vimini su cui mi corico ogni sera, e il piacere della madre della terra del dormiveglia è troppo oggi e sto qui immobile assaporando il risveglio del mondo.

Che poi dall’altro lato del mondo si vanno a coricare: non c’è etica non c’è morale non c’è giusto e sbagliato, chi è senza peccato lanci la prima pietra, allora sommersi di pietre scoprimmo che non c’era il peccato che i peccatori lanciavano pietre ed ai belli gliele tiravano addosso ed i brutti se le fumavano.

Nel tempo fermo mi alzo alla moviola pur se devo pisciare di corsa, sarà poi questa la ragione che ci fa tornare al mondo ogni giorno?

E dopo vado a vedere, niente. Niente, oggi non c’è niente. Piango, perché piango? Che m’aspettavo? Che investimento ho fatto io nel cosiddetto Animale? Perché da due giorni evito la gente? e ci riesco, nessuno è salito più, strano. E ora che non c’è niente, che si son dissipati i fumi gli effetti dei funghi e devo per forza tornare alla realtà alla meravigliosa realtà della giungla in cui vivo…piango.

Lacrime, lacrime di che? Piangendo e lamentandomi prendo la spesa fatta ieri al paese di nascosto e la butto giù: banane un’anguria e pure una papaya e piango dicendo colla voce rotta del bimbo ch’è in me, non lo voglio non voglio niente io era tutto per te non voglio niente per me! E via nel mio angoletto ad accendere il fuoco fra singhiozzi e sghignazzate pe’ quanto so’ stupido.

Di colpo pian piano il grufolare.

E corro salto in piedi quasi m’inciampo nella mie stesse gambe che saltano a grillo superando gli ostacoli le pietre e sto lì, a Gran Burrone. E vedo per la prima volta sparire le offerte davanti ai miei occhi, a pezzi svaniscono nel nulla mezza banana poi tutta la papaya che si schiaccia scoppia i semi che volano la buccia, che amara! sputata dal nulla.

Ha i miei gusti la bestia.

 

3º giorno

Sto di guardia oggi, mi son appostato qui colle offerte, per lui e per me pure che mangio al sacco oggi, non mi voglio far sfuggire nemmeno un momento. Speriamo non venga nessuno, non so come farei a spiegare, meglio così, meglio solo, che tanto solo non sono, se lo son mai stato. È quello che penso mentre sto qui di vedetta come il piccolo lombardo, appollaiato su un ramo del Banyan Tree, dell’antico magico albero sacro che ne tagliano un pezzettino gli indù solo quando si sposano, per la buona sorte del matrimonio, solo allora ne viene tagliato un pezzetto, sennò mai, nessuno si azzarda.

L’Albero è sacro, l’albero della Vita, dell’Immortalità, con quelle liane che scendono e quando toccano il suolo si scopre che son radici e quindi anche se il primo tronco originario potrebbe esser secco esso è tutto avvolto di ex liane che son tronchi nuovi con radici fresche e queste liane si avvolgono intorno ad altri alberi e palme che incontrano scendendo giù dall’alto dei cieli e questi alberi e palme entrano a far parte del Banyan Tree che non è più un albero ma una giungla un ecosistema complesso in cui vivono in molti.

Ed è talmente grande che va dall’altro lato del fiume e non solo, e chi non soffre di vertigini può salirci su e scendere tutto da un’altra parte della giungla a centinaia di metri di distanza, e più volte ci hanno costruito su non la solita casa sull’albero per i ragazzini, ma interi palazzi sull’albero, roba da Gordon ed il pianeta Mongo; ora per fortuna no non ci sono abusi edilizi sull’Albero.

E da quelle liane sue lunghissime noi ci lanciamo come Tarzan ma bisogna saperlo fare che sennò se non prendi bene lo slancio e calcoli i tempi giusti, rischi di trovarti a penzolare in mezzo alla valle sopra il fiume troppo alto per lasciarti cadere e allora che fai? no no l’unica è prendere lo slancio per lanciarsi e poi lasciarsi cadere dall’altro lato del fiume o sennò tornare indietro fin qui appesi alla liana e lanciarsi di nuovo per atterrare al punto di partenza… è che il rio è in fondo ad un burrone i cui due lati si alzano ripidi come un piccolo Gran Canyon, ed allora sì che dai due lati la liana ci arriva, ma in mezzo no… sempre se sei abbastanza pesante se invece sei una ragazza piccolina, be’ allora vi dovete attaccare in due alla stessa liana, tarzan e jane o jane e chita, per avere l’inerzia necessaria ad attraversarlo o almeno a tornare indietro…

Ma spero proprio non venga nessuno a giocare all’altalena oggi. Oggi non sono solo, vabbe’ che pure quando credevo d’esser solo a volte preferivo restarci a respirare il silenzio, a scoprire qual è il daffare delle formiche, a succhiare i cajù colle scimmie, a correre sui pietroni del fiume saltando da uno all’altro, ad ascoltare il ruscello, a stendermi a terra a terra a terra.

E credevo d’esser solo, solo colle scimmie che gridano cogli uccelli che  cantano colle mosche che ronzano, ed invece c’era già, ne son sicuro che ci sia sempre stato: l’Animale prima d’esser animale grufolante era Spirito di questo bosco.

Era sempre stato con me lo sento familiare lo amo! Uno sbrilluccichio laggiù!!!  Rizzo le orecchie aguzzo lo sguardo punto lo sbrilluccichio fra le foglie e guardo meglio, aspettando ancora come un giaguaro a caccia.

Non si tratta di uno sbrilluccichio, no, piuttosto posso dire che sia uno strappo nel tessuto della realtà, è come se una pesante tenda che copre la finestra per salvarci dall’intensa luce del sole pomeridiano mentre tentiamo di schiacciare un pisolino per digerire ed ingannare il tempo in quell’ora tanto calda che nessuno sta in giro… ebbene è come se quella tenda sia mossa di tanto in tanto da un pigro vento caldo che così scopre quel buchetto nel vecchio tessuto logoro di questa realtà consunta e per un attimo permetta alla vera luce della verità di passare. E brilla la luce senza tempo la luce che illumina senza bruciare senza consumare nulla la luce che brilla di suo. Sono le maglie del tempo che si allentano e non si vede cosa ci sia dall’altro lato, troppa la luce. Però sì si ascolta un grufolare: lo sapevo è lui è l’Animale!

L’Animale tenta di evadere tenta di uscire, o forse meglio farei a dire tenta di entrare in questo mondo.

E mi affretto a buttar giù qualcosa da mangiare e di nuovo lo scempio delle offerte è rapido ed impressionante, mi da i brividi ho paura, invisibile sì ma enorme, la bestia è enorme se ha della fauci così da spaccare un cocomero in due… o avesse le mani?

 

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