GUERRA ALLA DROGA

un'altra storia Visionoir di Rodolfo de Matteis

 

 

La notte è meravigliosa, una quantità di stelle mai viste scendono giù fino all’orizzonte, tanto che le ultime non si può dire se siano stelle o le luci delle case, ma non ci sono case nel deserto, almeno non molte. La ragazza ha camminato chilometri tutto il giorno per arrivare fin qui nel pomeriggio, la ragazza è sola, piena di gioia, ha montato la sua tenda ed ha acceso un fuoco, non può dormire, non aveva mai visto tante stelle, viene dalla città lei, e quasi non può credere che le stelle siano cosí tante, a nubi, a gittate, a spruzzate, il cielo è più bianco che nero, bianco del pulsare silenzioso delle stelle, del vibrare loro bianco azzurro e giallo.
Una stella si muove fra le altre, la ragazza non sa cosa sia, solo la guarda ammaliata avvicinarsi silenziosa nella notte, poi realizzando la sua velocità pensa a un disco volante; quando sente il rumore del motore l’aereo ha già percorso mezzo cielo; e le sembra impossibile che anche lì arrivino gli aerei, nel deserto, nel mezzo del nulla.

Da lontano lo riconoscono bene i soldati il fuoco della ragazza, è così scoperto, così vicino alla strada, ed i loro occhi addestrati non lo confondono colle stelle basse. Stanno lì per la Guerra alla Droga, quella guerra che ha già fatto 30mila morti nei pochi anni della “presidenza” calderón, un genocidio giovanile secondo l’ONU; stanno lì a controllare il deserto di notte, dovessero passare macchine di trafficanti diretti a nord al confine ai dollari; ed allora decidono di andare a vedere di cosa si tratti, passandosi di mano in mano la bottiglia di tequila i tre hanno bisogno di sequestrare altra coca, sta quasi per finire e non vogliono proprio rimanere colle narici a secco, a inalare solo la polvere del deserto che la loro jeep alza quando cammina.
La ragazza sente il motore avvicinarsi proprio mentre sta facendosi una canna, dapprima è un rumore sordo lontano… pensa ad una allucinazione, poi pensa ad un aereo, ed infine pensa ad un treno che porti i suoi carichi misteriosi su al nord nel Texas, ne sono passati già tanti quella notte così bella così magica. Ma il rumore si avvicina, sembra un motore, un brivido le corre lungo la schiena, solo ora realizza d’esser sola, le stelle stanno mute non le dicono nulla non la rassicurano non la aiutano. Di colpo vede anche le luci dei fari, inesorabili avvicinarsi nella notte, arrancare le ultime svolte e subito sono lì, nasconde la canna sotto la sabbia la ragazza, ma quando vede che gli uomini sono in uniforme si sente più tranquilla, non sono i contadini ubriachi cui la sua mente aveva pensato dapprima, temendo che potessero approfittarsi di lei.

Il primo soldato a scendere dall’auto quasi non crede ad i suoi occhi: la ragazza è bellissima, bionda, con quei suoi vestitini leggerissimi, succinti, quasi trasparenti, vestita quasi di niente, le sue gambe sono così belle, nude lì fuori illuminate dal fuoco e quella pozzanghera d’ombra lì fra le gambe, quell’ombra scura che promette promette promette.  Sente il suo respiro ubriaco farsi più pesante il soldato, il cuore battergli forte che sale, quasi voglia scoppiargli nel cervello, e poi, appena sente l’odore acre della marijuana nell’aria, scatta corre e la afferra per quei suoi capelli così belli così biondi così soavi e sottili e per lui così alieni. Grida la poveretta come una gallina portata al macello e le gambe e le chiappe le si feriscono lasciando tracce di sangue sulle pietre sulle spine mentre lui la trascina colpendola a calci.

Gli altri soldati lo fermano, sei pazzo! gli dicono, non rovinare questo fiore, questa puttana tossica deve pagare come pagano quelle della sua razza, maledetti narcotrafficanti!
Gliela strappano dalle mani e colle mani le strappano i vestiti, nuda è ancora più bella, quelle sue tettine, così magra così sottile il suo corpo di libellula: la afferra per la nuca uno e la piega, la mette a pecora e tenta di infilargli la canna del fucile nel culo fra le urla di terrore incredulo di lei e le urla di gioia degli altri due. Uno tira fuori il cazzo dai pantaloni e le si avvicina alla faccia, succhia troia! le dice mentre glielo sbatte sulle guance, ma non resiste a vedere l’altro che sì! ora ci riesce e gli ha infilato il fucile che s’immerge fra le gambe di lei, ove corre il sangue, ed allora esplode e viene. La ragazza sente lo sperma di lui caldo amaro salato appiccicoso sulla sua faccia, le fa schifo, le fa schifo e vomita e piange ed urla, No! pietà che vi ho fatto? E allora comportati bene piccola troia, cagna in calore, facci godere!
E la tengono giù supina a gambe larghe mentre quello tira fuori il fucile insanguinato e le infila dentro il cazzo e sbava, e suda, e trasuda tequila e l’odore della coca nelle sue narici si mischia coll’odore della paura e del sangue della ragazza e si eccita sempre di più fino a venire anche lui a scoppiarle dentro. Allora gli altri due lo spostano e le si buttano su a turno: la loro preda, la maledetta gangster, la drogata, il nemico.

Io da ore avevo visto quel fuoco da più su, dalla collina, non mi avvicinavo, non volevo rovinarmi il viaggio con i discorsi della gente. Sapevo che loro non potevano vedermi, il mio di fuoco era abbastanza nascosto in un avvallamento fra le collinette, e poi molto lontano dalla strada che, pur se sterrata, passa più giù. Io vedevo il loro di fuoco solo allontanandomi un po’ dal mio accampamento a camminare nella notte per pisciare o per vedere il buio del deserto. Ero abbastanza soddisfatto che non facessero tanto rumore, che non avessero stereo con loro o esplodessero in ghiozze risate a turbare la mia pace di silenzioso essere del deserto.
Poi odo l’avvicinarsi del motore, e penso che i poveracci verranno disturbati con quel loro fuoco accanto alla strada: saranno contadini ubriachi che vogliono fare due chiacchiere o poliziotti che vogliono soldi. Io mi sento al sicuro così lontano però ugualmente lascio morire il mio fuoco, un occhio esperto potrebbe notare il suo bagliore, e mi dedico a guardare le stelle.

Poi di colpo le urla, così forti così insane così intense, una voce di donna che urla, urla davvero per la vita o per la morte, odora di follia di paura di violenza fin qui quell’urlo così angosciante così assurdo e quei grugniti quelle voci torve ed oscure che si sentono e quelle risate agghiaccianti. Il richiamo di quelle urla di donna risuona nelle mie vene che si  gonfiano si scaldano in un’atavica esplosione: mi infilo le scarpe, afferro il machete, quello che ho portato per far legna, e corro corro giù per la collina senza pensarci senza pensare a nulla solo coll’odore dell’adrenalina e le urla che mi chiamano.

Non mi vedono arrivare quei maledetti che sembrano averla domata e lei è lì a quattro zampe che succhia il cazzo ad un soldato mentre un altro la stupra da dietro gridando di piacere. Quello in piedi che ora assiste bevendo dalla bottiglia è il primo a crollare, il mio colpo dalle spalle dal nord è così terribile e violento che quasi gli stacca la testa d’un colpo il machete mentre il sangue schizza da tutte le parti e l’uomo-bestia cade a terra colla testa grottescamente appesa da un lato solo ed il sangue che schizza in faccia a quello che gli sta davanti, quello che lo teneva in bocca alla ragazza, sembra momentaneamente accecarlo immobilizzarlo ed allora io mi lancio e gli calo il machete sulla spalla sinistra, gli spacco la clavicola ma la mia lama affamata di raggiungere il suo cuore di mostro si blocca e non riesco a tirarla più fuori da quel corpo ed allora sento un colpo alle spalle che mi toglie il fiato e penso d’esser morto spacciato mentre altri colpi forse calci sembrano spaccarmi la schiena.

Poi di colpo niente, solo le urla selvagge della ragazza. Mi giro e la vedo che infierisce sul soldato brandendo il fucile colle mani, sporche del sangue del suo stupro ancora fresco sulla canna dell’arma mentre il calcio del fucile cala e cala ripetutamente sulla testa già spaccata del soldato e le urla folli di lei.  
Calma è finita le dico, è finita, sei salva! ma ci vuole un bel po’ e prima che smetta di colpire la testa di quello è ormai una poltiglia irriconoscibile, l’altro col machete ancora profondo nella spalla è privo di sensi, forse morto. Cominciamo a tremare come foglie ed il dolore ad esser lancinante nella mia schiena mentre ci abbracciamo piangendo e restiamo così un tempo infinito.

Poi le dico, dobbiamo scappare, scappare presto, presto presto! Afferro la bottiglia di tequila dal suolo e mi tracanno tutto quello che ne resta in un solo sorso e allora penso: la tenda le cose, dobbiamo far sparire tutto, tutto ciò che potrebbe farci riconoscere e sparire andare lontano lontano, dai vestiti andiamo!
Lei mi obbedisce senza parlare solo piangendo tutta piena di sangue e sperma e lacrime, ed in breve abbiamo tutte le nostre cose sulla jeep, e… cazzo il machete! Le mie impronte sul machete, le tue sul fucile! Ha un sussulto ed un lamento quello quando gli tiro fuori il machete dal corpo aiutandomi con i piedi e le due mani, ed allora glielo calo un’altra volta proprio in mezzo alla fronte e partiamo, la jeep ha ancora le chiavi nel cruscotto.

Presto, prima che venga il giorno dobbiamo sotterrare tutto lontano, lavarci dal sangue, buttare questa maledetta jeep in un crepaccio isolato, e saltare su un treno che ci porti via lontano, il più lontano possibile.

 

México Tenochtitlán 6 1 2011