L’ALTRA STORIA di LADY HAWK


una fiaba


***

 

C’era una volta una bella principessa infelice. Suo padre, il tirannico misantropo re di Sessaniat, l’aveva sin da piccola considerata un bene di sua esclusiva proprietà che esisteva al solo scopo di dargli un erede maschio, e la vita della poveretta era stata una angosciante sfilata di partiti, nobili d’ogni risma che il padre le proponeva come possibili sposi. La principessa sperava davvero di vedere la fiamma dell’amore ardere negli occhi di uno di loro e di ascoltare il suo stesso cuore battere forte forte ma, siccome ciò mai avveniva, si negava ad uno dopo l’altro con grande e sempre crescente collera del re suo padre.
Quando il tirannico re decise che oramai non le riconosceva più alcuna voce in capitolo e quindi l’avrebbe data in sposa al prossimo pretendente cui ella fosse piaciuta, la principessa decise di diventare brutta; tanto brutta da evitare di esser scelta da chicchessia.
All’uopo si ritirò nell’antica magione avita fra i monti del Sessaniat, ove visse sola, nutrendosi molto poco e male per divenir scheletrica e malaticcia, senza lavarsi né pettinarsi per divenir ripugnante, senza gioire della luce del sole per ottenere un pallore cadaverico, senza parlar mai con chicchessia affinché la sua voce dal canto armonioso ed incantatore divenisse invece roca e cavernosa. Viveva insomma con un nodo alla gola che la soffocava, un macigno che le schiacciava il cuore e la luce della follia brillava in quegli occhi che a onor del vero pur restavano bellissimi.
Continuamente ed in maniera ansiosa si controllava allo specchio per vedere i risultati della sua terapia sperando di essere imbruttita ancora un po’, e si esaminava la pelle con la lente d’ingrandimento alla ricerca dei segni di un qualche sintomo d’infezione o, magari! di una qualche malattia che la rendesse intoccabile.
A dir il vero non era proprio sola, ma si era circondata di un branco di cani sieropositivi, che lei amava molto, in quanto erano i soli suoi compagni, ma con i quali non poteva mai giocare, e nemmeno accarezzare a mani nude, nel timore di prendersi il terribile morbo mortale di cui erano portatori, perché in fondo era ancora attaccata alla vita come un capelvenere alle pareti di una magica cascata. Ogni volta che li nutriva tremava nel timore la leccassero o mordessero, e col tempo arrivò a pensare che la loro sola vicinanza ed il loro alitare potessero infettare l’aria, e si sentiva in continuo pericolo di vita, e non ci dormiva la notte. Era tanto sciatta e sporca per quanto riguardava la sua persona quanto era maniaca della pulizia per ciò che riguardava i cani ed, infagottata in guantoni e stivaloni di gomma e maschera antigas, passava continuamente la varechina ovunque essi fossero passati o si fossero accostati, mentre ogni sera bruciava in grandi e puzzolenti falò le ciotole di plastica in cui aveva servito loro le cene principesche che preparava con dedizione. Quei falò in fondo le scaldavano il cuore poiché erano la fonte di luce più potente che i suoi occhi mai vedessero in quanto la poveretta si illuminava nella sua magione dalle finestre sprangate notte e giorno con un’unica candela sorretta da un raffinato candelabro di pregiatissima porcellana.

Tanta sofferenza e squallore non potevano che attirare l’attenzione della strega cattiva, che del dolore si nutre con avidità, e così la principessa, la quale pensava di esser sola con il suo dolore ed i suoi cani moribondi, in realtà veniva spiata in ogni sua mossa dalla strega cattiva che, non vista, si abbeverava a quattro palmenti della sua disperazione. Ma l’ingordigia di crudeltà della strega cattiva non ha fondo e così la malvagia ne pensò una delle sue e sostituì lo specchio con un comunissimo vetro ed essa, la strega, ci si mise dietro di modo che ogni qual volta la principessa si fosse specchiata per i suoi continui controlli, invece del suo volto, il quale, pur segnato dalle privazioni e dalla tristezza, conservava sempre una bellezza ed una poesia incancellabili, avrebbe visto la putrescente malefica faccia della strega cattiva, scambiandola, ahimé! per il suo principesco riflesso.
La prima volta che ciò accadde fu tanto lo spavento che l’infelice lasciò cadere la candela ed il suo meraviglioso candelabro di preziosa porcellana s’infranse al suolo. Ella si affrettò a raccoglierne i pezzi ed armata di pazienza si apprestava ad incollarli di nuovo coll’attak, la fortissima colla istantanea, quando la strega, la cui voce imitava a perfezione quella dello stesso pensiero dell’eremitica principessa, sostituendosi ad esso e spacciandosi così per la di lei mente, le mise a credere che si fosse equivocata ed al posto del tubetto dell’attak nell’oscurità avesse preso quello del dentifricio, che la principessa ancora usava, perché alla sua igiene interna, quella che nessuno avrebbe potuto vedere, ci teneva sempre moltissimo, e così nella confusione la poveretta prese lo spazzolino e si strofinò l’attak sui denti stretti che, sciagura! non riusciva più ad aprire e rimase così con quel ghigno stampato in faccia che la faceva somigliare appena un po’ di più allo sghignazzare malevolo della strega cattiva nel finto specchio.
Le sue giornate erano diventate un susseguirsi di pianti per i disastri causati dagli atroci scherzi della strega cattiva che la torturava sempre più, aggravando così la sua già triste situazione.

L’unica cosa che la principessa ascoltava, oltre alla voce della strega cattiva che continuava a scambiare per il suo pensiero, ed al latrare dei cani sieropositvi, ed al rombo dei tuoni durante le tempeste, erano degli strani colpi di tosse da lontano, ed al gorgogliare di una voce che sembrava quella di un uomo in procinto di annegare.
Durante una delle sue saltuarie e segretissime uscite in cui, protetta da spessissimi occhialoni da sole neri neri e tutta intabarrata vestita da punkabestia, la principessa spiava gli agenti dell’ARTA, l’Agenzia Regionale per la Tutela Ambientale, per venire a sapere, ascoltandoli non vista, se i suoi cani sieropositivi avessero, giammai sia! contaminato i laghi ed i fiumi delle montagne del suo caro Sessaniat, li sentì parlare di un lago la cui acqua, seppur pulita e senza infezioni era stranamente ricca di sali, esattamente della composizione delle lacrime umane. Incuriosita ella si avvicinò al laghetto in questione da cui, sorpresa! pareva provenissero anche quei colpi di tosse e gorgoglii. Attese ed attese finché: eccoli! i colpi di tosse provenivano da una specie d’isolotto putrido che affondava le radici delle sue maleodoranti alghe nel mezzo del laghetto… la principessa si avvicinò e vide che l’isolotto non era altro che la testa di un uomo sommerso la cui bocca si trovava a pelo d’acqua e che, ogni qual volta il vento creasse delle onde queste la ricoprivano a tratti quasi annegando il disgraziato che tossiva e gorgogliava per salvarsi la vita. Allora la principessa dimenticò immediatamente il suo voto di silenzio e solitudine e si mostrò all’uomo gridandogli a più non posso dalla riva invitandolo a salvarsi. Come vide la bellezza, la vitalità e la luce dei meravigliosi occhi di quella ragazza l’uomo interruppe di botto quel suo pianto antico che aveva creato il laghetto e lo stava oramai per affogare nelle sue stesse lacrime amare, e si levò.
I suoi capelli si strecciavano a fatica dalle alghe e radici con cui si erano uniti negli anni, ma l’uomo, incurante del dolore continuò ad alzarsi finché non fu completamente fuori dalle acque in tutta la sua prestanza. In piedi, uno di fronte all’altra i due si guardarono negli occhi, ed in essi si accese immediata la scintilla dell’amore.

Ella, riconoscendo d’istinto la nobiltà dei suoi tratti e la forza del suo portamento, lo chiamò principe e subito vide in lui quel possibile sposo cui era stata educata a dedicarsi e che nel suo cuore ancora in segreto aspettava. Egli la desiderò ardentemente e tutte le sue membra ed il suo cuore entrarono in ebollizione e non pensava ad altro che a farla sua al più presto. Interpretando come repulsione per la sua condizione di sporcizia la resistenza della principessa al suo abbraccio il principe si recò al fiume ove si lavò per ore ed ore scrostando via la melma di cui era ricoperto quasi fosse così possibile lavar via il dolore che lo aveva portato a piangere un lago di lacrime. Appena fu bello e profumato tornò all’attacco, ma la principessa ora aveva mal di testa, e poi era stanca, e ora aveva paura che qualcuno li vedesse, insomma temporeggiava e temporeggiava, probabilmente attendendo quella richiesta formale di matrimonio che egli non sembrava considerare affatto, selvaggio com’era nella sua brama d’amore vecchia di secoli.
La cosa si complicò ancor di più quando la strega cattiva avvedutosi dell’accaduto e conscia del pericolo che ciò rappresentava per i suoi loschi scopi, installò una webcam nell’occhio destro ed uno speaker nella tonsilla destra della principessa mentre dormiva, così che quando ella vedeva il principe coll’occhio destro non vedeva la realtà bensì la sua manipolazione in tempo reale eseguita dalla strega cattiva che lo dipingeva come un mostro, un bugiardo incallito, un ambiguo macho, un egoista malfidato e quasi sicuramente pure infetto e sieropositivo come i cani, se non peggio ancora un untore volontario. Certo non aiutava il fatto che anche coll’occhio sinistro, che vedeva la verità con una chiarezza e discernimento unici e rari anche in tante donne, la principessa oltre all’amore si trovava davanti effettivamente un allupato. Quando gli parlava, a volte era ella stessa a farlo, ma molte altre era la strega cattiva che attraverso lo speaker profferiva malignità assurde che facevano imbestialire il principe il quale quindi ringhiava anche lui nell’essere oltre che respinto pure insultato, e gratuitamente in quanto egli si sentiva puro nel suo ardore innocente.

Eppure i due si amavano davvero e così eventualmente si trovarono avvinghiati a farlo sul serio. L’amore loro fu un’esplosione intensa e selvaggia. Immediatamente schizzarono via in due direzioni opposte, la principessa si trasformò in una meravigliosa femmina di falco e volò nel cielo e fece ciò che fanno i falchi mentre il principe si trasformò in un lupo e corse via e fece ciò che fanno i lupi. Tutto il regno fu lieto quando vide nel cielo volteggiare il falco, che era l’emblema di Sessaniat, e sventolava da sempre nei suoi stendardi e bandiere senza che lo si vedesse più davvero, ed ora era tornato e ciò sarebbe stato senz’altro foriero di buona sorte, come in effetti fu. La strega cattiva fece fagotto o forse fu divorata dal lupo, ma comunque non se ne seppe più nulla, ed in ogni caso tutti i malvagi tremavano quando nella notte si sentiva echeggiare l’ululato del lupo e ci pensavano bene prima di farsi vivi.
I due non sempre sono nella loro forma animale, anzi, ora che possono dar sfogo alla loro vera natura, quando tornano umani sono sereni, appagati e tutti intenti alle loro faccende, ovunque siano, per il bene di se stessi, delle persone o cose a loro care, e del mondo intero. A volte forse s’incontrano ancora, donna e uomo, chissà dove e perché, nella realtà o nel sogno, e non è dato sapere ciò che fanno insieme, ma di certo i loro occhi brillano. L’abitudini sono le più dure a morire e così ogni tanto ancora tornano la paranoia di lei e il delirio di lui, ma allora, come d’incanto, immediatamente si trasformano in femmina di falco lei ed in lupo lui, e vivono la loro libertà nello spazio infinito e son davvero grati l’un l’altra per questo dono incredibile che si sono fatti, ed alla vita che hanno ricevuto in regalo alla nascita, ed il mondo intero ne gioisce.
Alcuni dei cani sieropositivi morirono, altri guarirono, e taluni vivono felici e contenti.

 

10 settembre 2007