È sereno ma ancora non c’è il sole in questa
bella mattina di tarda primavera tropicale. Mi sono alzato alla solita
ora, ma non ho avuto il tempo per la consueta camminata nelle rocciose
montagne che circondano Real de Catorce, el Pueblo Magico
messicano, ho un appuntamento col Marshall oggi, alle 8 a casa
sua per scendere insieme giù a Matehuala, la città
più vicina. Arrampicandomi per quegli alti gradoni scavati a
picconate nella viva roccia chissà quanti secoli fa in cuor mio
dubito di trovarlo sveglio, non mi pare proprio il tipo. L’ho
conosciuto un paio di anni or sono, ma ci siamo rincontrati da poco, al
mio ritorno, da qualche settimana insomma, e l’ho trovato un
po’ giù. Più magro, più sbattuto, più
teso, forse provato dalla miseria della vita in un paesino fra le
montagne, è abituato alla metropoli lui; non che gli fosse
andata male, è tuttora uno dei migliori artigiani della zona, ma
la sua esistenza pare essersi ridotta alle tre C, come si dice in
Messico, chamba churros y chelas, ovvero lavoro, canne, birra e ancora
tanto lavoro.
Dopo l’ultima svolta mi appare alla vista la porta di casa sua,
è aperta, sormontata da una testa d’aquila, al centro,
piume d’aquila sulla sinistra ed una rudimentale ma suggestiva
croce fatta con due pezzi di legno di cactus sulla destra . Il cane
gironzola libero nell’aia, per niente disturbato dal gallo,
calvo, attaccato con una corda che unisce la sua zampa ad una pietra.
Appena i miei occhi si abituano alla relativa oscurità della
stanza vedo il Marshall seduto sulla sedia in plastica di una nota
marca internazionale di birra con in una mano un bicchiere e
nell’altra un gigantesco joint . È di tre quarti ed il suo
profilo che ricorda un antico maya si staglia netto contro il muro
bianco, colle sue lunghe trecce rasta che gli arrivano alla vita .
- Buon giorno, già sveglio ? incredibile! -
- Che dici sono in piedi dalle sei con un cazzo di mal di testa e tutto
il resto ! Sai, i postumi della sbronza di ieri sera, all’una
sono venuti Marylin ed il Principe, con coca e vodka, ed abbiamo fatto
le tre ... e solo ora mi sono ricordato che c’era ancora un fondo
nella bottiglia ... le ho buttato dentro il succo di limone, un
po’ d’acqua e me la sto curando, finalmente ...-
Non può permettersi di dividere la sua medicina con me, per
fortuna, che in questi tempi tento di non bere. Mi siedo su uno
sgabellino, silenzioso, in paziente attesa che mi passi da fumare;
già so che non mi porgerà la canna prima di averne fumato
la metà esatta, un gesto di cortesia nei miei confronti, che
agli altri passa solo il mozzicone, di solito.
Fumo, che buona l’erba qui! difficile da trovarsi ma buona, ti
addormenta la gola quando la usi pura, quasi come fa la coca, ma molto
meglio perché si tratta di una sensazione viva e non di
anestesia locale.
- Mi presti un foglio bianco? - dico afferrando un quaderno da un
tavolo pieno zeppo di pietre in differenti fasi di lavorazione ( mi
piace tanto un teschio d’ambra gialla, ma già so che ci
vuole trecento carte ) artigli d’aquila e di gatto selvaggio,
zanne di giaguaro e d’orso, ossa di squalo, corna di cervo
scolpite in forma di cactus, pezzi di giada vecchia e nuova, anelli
d’argento (tanti ) e di legno di cocco, strumenti di lavoro,
teschi d’aquila, pacchetti di cartine, d’incenso, vertebre
di serpente, bicchieri di plastica vuoti, perline colorate e come tocco
d’arte postindustriale un motore di fresa rotto da chissà
quanto.
- Prendilo tutto il quaderno se ti serve, anzi prendi pure la carta
igienica, che io per strada mi cago - infilo il tutto in borsa dopo
aver appuntato sul quaderno le cose da fare giù in città.
- Andiamo? -
- Calma, calma, rollane uno prima, no? - e mi passa una ricca manciata
d’erba, anzi di cimette belle resinose e senza l’ombra di
una foglia. Comincio a pulirle mentre lui si aggira rovistando fra gli
innumerevoli scatoloni addossati contro il muro.
- Pronta! che faccio, accendo? -
- Sì, sì ... o che? vogliamo farcela in istrada? -
- Sì, meglio - dico io che ho fretta di partire, arrivare, e
fare le mie importanti commissioni - ti hanno lasciato i soldi, i
giapponesi, per il quarto d’erba? -
- No, so’ partiti senza nemmeno salutare -
- Vabbe’, ne compriamo un po’ di meno coi soldi nostri,
allora -
Chiude la porta il Marshall, poi la riapre
- Devo lasciare un messaggio, passa un pezzo di carta - ci scribacchia
sopra qualcosa, attacca il cartello sulla porta che ora accosta senza
chiuderla
- Cane, tu resti! - ordina, ma il mastino non pare d’accordo e
comincia a seguirci scodinzolante e deve convincerlo colle buone parole
prima, con una sassata poi tirata dall’angolo dove si è
fermato per pisciare quando si rende conto del suo secondo tentativo.
- Gli piace, eh, al cane, andare in macchina? -
Un cenno affermativo di quella sua testa a forma d’aquila
è la risposta.
La macchina è lì, un maggiolino
decappottabile arancione un po’ malandato, comprata il giorno
prima e posteggiata proprio di fronte al Municipio dove qui risiede
anche la Polizia.
- Ma qui la lasci? -
- Sì , così non me la rubano. -
Salgo e mi siedo, felice di andare in città così,
chissà quanto tempo che non salgo su di una macchina privata, la
compagnia è allegra, e poi risparmio tempo e denaro.
Marshall armeggia colla cappotta di tela plasticata, aperta, poi
chiusa, poi, dopo uno sguardo al cielo, già il sole ci inonda di
luce nella fresca aria mattutina, di nuovo aperta. Ora invita due
vecchi che passano di lì a scender giù in città
con noi - che palle! - ma per fortuna vanno al lavoro - sarà per
un’altra volta - li invita il Marshall - ma l’auto è
una figata, vero? -
Il motore si avvia, mentre quasi l’intero corpo di Polizia ci
guarda da dietro la balaustra municipale, lui li saluta allegro, io no,
e mi preoccupo pure, ci conoscono, hanno già capito tutto e
potrebbero aspettarci al ritorno. Comunque ... il neoproprietario
d’auto combatte con marce e pedali, non aveva mai guidato prima
d’ora, ha preso la patente ieri, letteralmente, pagando la
relativa tassa e mostrando un documento, come si usava qui sino
all’altr’anno. Mi offro di guidare io.
- Più tardi - dice.
Attraversiamo i tre chilometri di tunnel, unico
accesso in auto al Real e poi cominciamo a discendere il massacrante
pavé che terminerà solo all’incrocio colla strada
che attraversa il deserto,, trenta chilometri e mille metri più
giù. Sono di buon umore io, e pure lui lo è.
Accendo la canna, che devo proteggere colle mani per non farla fumare
tutta al vento.
Raggiungiamo il primo villaggetto, dal nome altisonante di La Luz,
quattro case ed un alimentari, a pochissimi chilometri dalla partenza,
anzi non lo raggiungiamo nemmeno, ché alla prima casa il
Marshall ferma l’auto in mezzo alla strada, per fortuna qui e
specialmente a quest’ora non c’è traffico, e
comincia a strombazzare con un clacson mostruosamente potente per
una macchina così. E suona, e suona, e suona, l’eco torna
dalle montagne accavallandosi al suono della tromba, immagino che
l’intera popolazione sia in allarme, ormai, ma di Billy the Kid,
che tanto ragazzo non è più, nessuna traccia .
- Lasciamolo dormire, no? - azzardo io, in paranoia ché, se
Billy viene con noi, l’esito del viaggio è in forse, fuori
di testa com’è col suo bisogno di svariati litri di
superalcoolici e di fare il gallo con ogni donna sotto i cinquanta che
passi nei dintorni, nonostante si atteggi a frocio per fare comunque
show.
La risposta del Marshall è una strombazzata di svariati minuti.
Ad un quarto d’ora circa dall’inizio del ciclone
acustico, che non ha causato maledizioni da parte di nessuno se non
mie, si apre lentamente una specie di porta di legno da cui fuoriescono
i capelli dritti color Panic Red seguiti dagli occhi cisposi del Billy
the Kid che esordisce dicendo:
- Vamo allo spaccio per una tazza? - e monta dietro, scalzo, senza
attendere conferma.
All’alimentari io dico: - non per me - ma il Marshall torna con
tre birre. Inshallah ...
Dopo mezz’ora e tre birre a testa il sole comincia a picchiare
giù duro e Billy chiede di esser riportato a casa, non è
un miracolo, c’è una barbara del Nord ad aspettarlo a
letto.
- Come non vieni? Andiamo a farcene un paio in città. - insiste
il Marshall.
Lo scarichiamo finalmente a casa sua dopo aver dato volta. Non
saprò mai perché l’autista spenga il motore, ma
è certo che non vuol saperne più di ripartire, mentre
Billy the Kid è già sparito nella sua enorme casa e
probabilmente dorme un’altra volta.
- È il cazzo di avviamento, per fortuna siamo in discesa, ed il
maggiolino non ha il cambio automatico -
Niente da fare .
- Allora manca la benzina, ho messo solo cinquanta pesos ieri, un
po’ poco, no? -
Io ascoltando il rumore sospetto si tratti di qualcosa di elettrico,
mentre impietosamente la discesa decide di finire, come la nostra corsa
da poco iniziata, nella piazza del paese, coll’alimentari e la
chiesa da un lato ed una serie di capanne in legno, che apriranno per i
loro affari una volta all’anno per la festa del santo patrono,
dall’altro. Un paio di ragazzini accorrono festanti, felici del
diversivo, di spingere l’auto e di prenderci per il culo.
Un signore che monta un somaro si ferma a guardare la scena ed il
Marshall gli dice :
- Manca la benzina, ho messo cinquanta pesos ieri per salire, un
po’ pochine , no? -
- A lo mejor - risponde il vecchio, sibillino, mentre io penso che si
potrebbe attaccare quel mulo davanti e farci trainare, ma non ho il
coraggio di chiederlo all’uomo, che ora aggiunge : - dovrebbe
farcela però con cinquanta, che è una millecento? e poi
da sotto sgocciola la benzina, quindi, ce n’è -
- No, no, è la benzina che manca ti dico, cinquanta carte
so’ poche di ‘sti tempi -
Ci spingono, anzi spingiamo, sino alla prossima discesa, poi salto su,
ma non si parte.
- Andiamo a comprare la benza - dice il Marshall, e fa per lasciare
l’auto proprio lì, dove l’inerzia si è
esaurita, praticamente in mezzo alla strada.
- Accosta, come minimo, vedi sotto quell’albero c’è
pure l’ombra - non riesco ad incazzarmi come dovrei ché mi
viene da ridere, ma camminando in salita verso il negozio, lo stesso
della birra, non posso fare a meno di aggiungere:
- ‘sto mezzo chilometro di salita potevamo risparmiarcelo -
- Sei proprio pigro –
Le tre birre a stomaco vuoto alle
otto di mattina cominciano a scaldarmi e così cammino allegro
sotto il sole che comincia a scaldare anche la terra, apparentemente
sobria.
- No, sono già un po’ di giorni che siamo rimasti senza
benzina - la testa parlante spuntata dietro giganteschi pacchi di
caramelle e fritture varie, che paiono essere l’unica merce in
vendita oltre a birra, Coca Cola e Marlboro, distrugge le nostre
speranze, e mentre mi fa accendere una rossa che ho comprato sfusa
aggiunge, coll’evidente scopo di rincuorarci:
- all’entrata del tunnel, col vecchio Paco ... A lo mejor... -
Cinque chilometri più in su, cazzo! Mentre ci incamminiamo io
comincio a pensare di ritirarmi dalla spedizione che, nonostante
l’ottimismo del Marshall, sembra abortita sul nascere. Una volta
arrivati al tunnel, avrei solo da attraversarlo per essere di nuovo
nella quiete famigliare e magica di casa.
La fortuna sembra arriderci di nuovo: qualcuno passa e ci carica;
arrivati all’entrata della galleria io sono tentato di restare a
bordo e farmi portare diritto fino a casa, ma per solidarietà
scendo.
Marshall parla coll’uomo della birreria locale e lo convince a
prestarci una tanica.
- La tanica te la presto, ma il vecchio Paco non c’è,
l’ho visto camminar giù per il sentiero, saranno cinque
minuti, ma dove vuoi che sia andato? fra poco dovrebbe tornare. A lo
mejor -
Ma dopo mezz’ora del vecchio Paco ancora nessuna traccia
così saltiamo su di un camion rosso nuovo fiammante della Coca
Cola per attraversare i tre chilometri di tunnel. Oscurità,
freddo, sono aggrappato alle catene che mantengono le casse delle
bottigliette più famose del mondo che, urtando l’una
contro l’altra, suonano come un milione di campanelle cinesi; ma
c’è anche uno strano suono metallico che echeggia
ritmicamente allarmante e cupo del quale non comprendo l’origine,
mentre il Marshall più avanti di me in piedi sullo scalino dello
sportello reggendosi con una mano allo specchietto retrovisore formato
bestione agitando l’altra animatamente fa il resoconto delle
nostre avventure all’autista in rosso decantando il suo
maggiolino quasi nuovo - .... decappottabile ... da dove vieni tu
varrà un venti palloni, no? quindici al peggio! io l’ho
pagato solo cinque, ora con altri cinque lo rimetto su e poi, via!
sulla costa a venderlo e far festa ... -, io non ci credo tanto, ma lo
spero per lui. Noto che di tanto in tanto, ad intervalli regolari,
dalla volta della galleria pende un cavo metallico che, urtando contro
la prima delle catene che reggono la coca, lancia quel misterioso
ululato di ferro che soffre, l’avranno messo lì per
ricordare quanto sia vicina la viva roccia e salvare così la
testa agli operai ed ai passeggeri che usano stare in piedi dietro ai
camion per godersi il fresco. Già si vede la fine del tunnel.
Saltiamo giù, non senza che il Marshall dia il suo indirizzo al
pilota della multinazionale nel caso volesse comprare il maggiolino, un
pezzo d’artigianato o farsi fare un tatuaggio, e ci incamminiamo
verso il mini Supermarket che sta a venti metri da casa mia; mi faccio
coraggio e comunico a Marshall la mia intenzione di lasciarlo solo.
- Fai come vuoi, io vado, però almeno invita una birra grande,
no? -
- Certo, è venuta sete anche a me - per comprare la birra devo
pagare anche un esosissimo deposito per il vuoto e, durante le
trattative, il Marshall ha già riempito la tanica e trovato un
passaggio, ed io non ho proprio voglia di perdere la bottiglia
né il suo contenuto e così salto su. Invitiamo da bere ai
nostri ospiti, tipi seri in giacca e cravatta che sembrano essere
commessi viaggiatori, uno rifiuta, l’altro accetta un sorso per
cortesia - è così presto - si scusa, allora il Marshall,
per scandalizzarli un po’ di più, comincia a parlargli
della sua esigenza di curarsi della grande bevuta notturna, e dei tiri,
e domanda - ve la fate voi la bianca? Ah, no. Ma l’erba almeno la
fumate? noi andiamo giù a ricaricare e se volete, una volta
partito il mio bolide, andiamo dritti in città, dove io
modestamente conosco e sono conosciuto, e vi aggiusto in un minuto ...
ok? –
Controvoglia devo sporcarmi le mani di benzina,
ché non avendo l’imbuto ce ne siamo inventati uno
tagliando con una pietra il fondo ad una bottiglia vecchia di Sprite
che dava bella mostra di sé nella selvaggia montagna; ma la
macchina non parte.
- Te l’ho detto! è qualcosa di elettrico - gli rinfaccio
io, petulante; apriamo il cofano e seppur colpiti dall’estrema
semplicità del motore VW, non siamo assolutamente in grado di
capirci niente, tanto meno di metterci le mani.
Grazie a Dio, sempre benevolo cogli innocenti, passa un montanaro a
dorso di asinello che si ferma a guardare incuriosito gli hippies in
panne, e, bendisposto ad aiutare il prossimo, nota subito che
l’accumulatore ondeggia come un pendolo proprio lì sulla
sinistra davanti agli occhi di tutti, eroicamente appeso al suo filo:
basta fargli toccare una qualsiasi parte metallica ed il motore parte
al primo colpo con un rombo che fa sprizzare scintille di orgoglio
dalle trecce del Marshall. Ringraziato l’uomo, partiamo.
Oramai sono pronto a tutto! Sono certo che questo
giorno ci riserverà qualche sorpresa, ancora; ma galera o morte
a questo punto non mi sembrano tanto brutte, con questo bel sole che
colora di giallo, rosso e raro verde le montagne desertiche, il vento
che mi infila le sue dita elettriche ed erotiche fra i capelli, ed il
Marshall che guida felice il suo maggiolino color arancia matura fra le
svolte della strada impietrata che ora non pare più massacrante,
ma un’autostrada verso nuove avventure in attesa di noi due: gli
eroi del giorno .
È un buon giorno per morire, sembro pensare, immaginandoci come
personaggi di un film americano, duri e rudi desperados
all’assalto della città, pronti a commettere qualsiasi
reato per puro sport, risse da cantina in uno scroscio di risa,
inseguimenti e sparatorie colla polizia mentre facciamo battute salaci
sul bel culo della moretta che passa ... e proprio allora la vedo, no,
non la moretta. La vedo, non la immagino, non è come le
fantasticherie di poc’anzi: ho la netta visione di un pistolone
nero che mi sembra una 45 Magnum proprio lì alla mia destra
giusto fuori dalla macchina fra il deflettore e lo specchietto che
traballa a testa in giù. Cazzo! Devo buttare giù un ricco
sorso dalla birra per farla sparire ed un altro per complimentarmi
della capacità di visualizzazione che ho raggiunto, anche se
qualcosa mi dice che non è così, e allora giù un
altro sorso tanto che il Marshall deve levarmi la bottiglia dalle mani
volendone vedere il fondo, almeno. I miei pensieri di cominciare a
sparare colla pistola immaginaria ai cactus di passaggio sono
interrotti dall’improvvisa sosta dell’automezzo causata
dalla delicatezza con cui il Marshall cambia le marce facendo cadere di
nuovo l’accumulatore che, d’altra parte, mancando la sua
vite originale è tenuto provvisoriamente in posizione da una
spina d’agave. Dopo due o tre interruzioni per lo stesso motivo
raggiungiamo finalmente la strada asfaltata ed allora comincio
veramente a godermi il viaggio, piacevolmente brillo, sotto il sole
oramai ben alto nel cielo, senza pensare più a niente.
- Che fai, dormi? - mi domanda ad un tratto il Marshall - lo so a che
pensi, e mo’ ti consolo io, al prossimo villaggio ho una buona
pista... per la tua amichetta, la bianca... -
È come una scossa elettrica alle budella che mi sveglia di botto
dal torpore alcolico, immediatamente ho la bocca secca, il cuore in
gola e devo scappare al bagno, roba che, se non conoscessi già
la storia, chiederei una sosta. Comincio a contare i chilometri che
scorrono troppo lenti, l’ansia mi divora.
Finalmente mi tranquillizzo quando appare il villaggio, ma il
Marshall lo supera veloce.
- E la coca? -
- Non c’era la macchina fuori la casa del tipo, ma più
avanti al bivio ce n’è un altro, non ti preoccupare, ti
aggiusto io -
- Ma allora perché non facciamo tutto qui? Ho sentito dire che
c’è l’erba buona qui a Cedral, di sicuro è
tutto più tranquillo e veloce che non in città, e ci
sarà pure un telefono qui ed io sto a posto, faccio tutto per
telefono, e posso tornare indietro senza andare in quella cazzo di
Matehuala piena solo di polvere e di afa. -
- No, no è che devo andare dal meccanico, non vedi che la
macchina ha problemi? e poi il pesce, te lo scordi il pesce? -
- Ma il tuo meccanico non è qui anche lui? -
- No, no... la macchina non c’era -
- Ma non era quello della coca... che non c’era la macchina? -
- Sì, sì... è la stessa persona, ma non ti
preoccupare ho detto -
La storia comincia a puzzarmi... avesse risvegliato la mia voglia
tanto per divertirsi, il paraculo? Mai saputo che il meccanico di qui
vendesse, e il Marshall non mi pare sincero...
- Bé allora andiamo dal Baffo appena arrivati -
- Sì - dice il Marshall - ma prima andiamo a pranzo a mangiare,
anzi prima lasciamo il VW al meccanico e poi a mangiare -
- No, prima dal Baffo, è di strada! - sento dire alla mia
voce, la stessa voce che tanto ho ascoltato parlare ieri sera sino a
farsi promettere dal Marshall, contro ogni mio stile, che mi avrebbe
invitato dal Pirata che importa il pesce fresco di giornata
coll’aereo diretto dalla costa fin qui in mezzo alle montagne,
dal mercoledì alla domenica. Ma lo stomaco mi si è chiuso
mentre i cartelli, le moderne pietre miliari, mi segnalano lo scorrere
dei chilometri, più lunghi del solito, oggi . Il Marshall mi
legge nel pensiero e dice :
- Ne mancano solo cinque -
- Sono cinque per la statale, poi di lì altri cinque - dico io
sconsolato .
MATEHUALA 78000 ANIME.
Dice l’insegna... finalmente la città! Ma io sono
interessato solo all’anima del Baffo, che non si sia pentita dei
suoi peccati proprio oggi! o peggio. Devo battagliare col Marshall, che
invece pensa solo alla sua macchina, che un’anima sofferente ce
l’ha di sicuro, e vuole portarla subito a confessarsi dal
meccanico; ma la spunto io e giriamo in una strada sterrata verso
l’agognata meta. Due isolati prima della casa del Baffo, in una
svolta a novanta gradi un’enorme camion, rosso, ci viene
incontro, c’è abbastanza spazio per tutt’e due i
mezzi, ma il Marshall, in un pericolosissimo accesso di cortesia
stradale, allo scopo di cedergli il passo gli taglia la strada e si
butta in uno spiazzo erboso sulla sinistra, e non siamo in Inghilterra!
La manovra riesce, il camionista imprecando e sghignazzando sparisce
col suo mezzo, ma il motore del nostro spira lì, in quello
squallido posto, ed immediatamente il sole ci picchia in testa con una
violenza inaudita, sarà quasi mezzogiorno oramai, ed una
fortissima puzza di bruciato aumenta ancora di più la gradazione
dell’aria immobile. Fa male solo a stare seduti. Il cofano
è talmente caldo che non si può nemmeno aprire per vedere
se fosse ancora l’accumulatore, anche se l’odore non
promette una soluzione così facile.
- Per fortuna siamo arrivati, dai andiamo ! -
- No, no a questo punto spingiamo l’auto sino al meccanico,
gliela lasciamo e facciamo tutto mentre lui ce la mette a posto -
- Tu sei pazzo -
- Ma dai è al massimo mezzo chilometro -
- Io non spingo. Manco morto! Sarà un chilometro, minimo, che
co‘sto sole fa per dieci e mezzo, su quel cazzo di stradone senza
l’ombra di un ombra, in mezzo alla zona industriale che non ci si
respira già la sera... prima ci diamo una ripigliata qui
all’angolo, poi facciamo venire il meccanico a rimorchiarci - non
cedo. Afferro la mia borsa, nonostante scotti anche lei, e mi incammino
deciso. Il Marshall, constatato che non si può nemmeno provare a
spingerlo il VW, ché il cofano posteriore è tuttora
ustionante, svela le sue carte, truccate :
- E vabbe’ andiamo, però io i soldi per la bianca non ce
l’ho, devo pagare il meccanico -
- Ma come, se era già in programma? -
- No, no. Io i soldi per la bianca non ce l’ho. -
Ora capisco perché ha cominciato a parlare di coca anche
lì al villaggio dove non ce n’è! Mi ha fatto venire
l’acquolina in bocca per farsela offrire, il porco!
Ma fa troppo caldo per litigare. E così ci accordiamo per
cinquanta a testa di bianca e cento l’uno di erba .
- Dammi i soldi che vado io -
- Col cazzo -
Il Baffo è lì, sudatissimo, stazionato all’ombra
dell’unico albero in vista che cresce di fronte casa sua,
affiancato dai suoi gorilla, armati di cellulare in una e di birra
nell’altra di quelle loro grandissime mani.
- Non è aria oggi ragazzi! Meglio che non vi fate vedere qui ! -
aria di casini - Come, non sapete niente? Ieri hanno fatto
l’anti-doping alla Polizia... sapete il governo è
cambiato: ne sono usciti positivi novantasei, persino il Giudice! Tutti
licenziati in tronco! È tutto fermo! Qui non ho nulla, niente di
niente. E passano ogni dieci minuti: andatevene che sennò vi
caricano! - cazzo, che sfiga, pure gli sbirri drogati ci mancavano!
Però quel “qui non ho nulla” mi fa insospettire, e
così insisto, e insisto sino a fargli promettere che in
un’ora circa ce la porta, non qui certo, ma dal meccanico; si fa
spiegare quale.
Mi caco sotto, letteralmente, ma solo uno
spruzzetto, quando, due ore dopo, fuori da quel meccanico vedo spuntare
all’orizzonte tremolante per il gran caldo una macchina che
potrebbe essere quella del Baffo mentre il Marshall ingurgita
tranquillo una birra dopo l’altra molestando il meccanico che sta
sotto il maggiolino, parlandogli a ciclo continuo di coca, erba e
quant’altro:
- Voi non la usate? -
- No, siamo sportivi, noi - risponde l’apprendista, mentre il
meccanico tirandosi fuori da lì sotto, sporco dalla testa ai
piedi del nostro olio bruciato, dice:
- Non so come non abbiate fuso... il motore, dico -
La pick up bianca tira diritto veloce, non è il Baffo, mi sono
cagato sotto per niente, e non so come pulirmi; ma l’occasione me
la da il Marshall che, vista la necessità di alcuni pezzi di
ricambio necessari per resuscitare il motore, mi invita ad andarli a
comprare:
- ... così prendi pure una birra a testa, gelate ché
c’ho l’arsura co’sto caldo, ci saranno quaranta gradi
qui al sole! -
- Più di cinquanta - fa il meccanico - e giacché ci siamo
prendete pure una cinghia di trasmissione nuova , e... niente birra per
noi, meglio una coca -
- Allora due birre e due Cocas vuoto a perdere- dice il Marshall
porgendomi un’enorme banconota, che sino a poco prima diceva di
non avere.
Io non ho molta voglia di rifarmi lo stradone, ma almeno potrò
andare al cesso, e mi incammino, è la seconda volta che faccio
questa strada a piedi oggi. La prima volta, ringalluzzito dalla
speranza datami dal Baffo l’ho fatta spingendo il maggiolino
arancione fra gli schiamazzi dei pochi ragazzini presenti, ed erano due
i chilometri! Per fortuna prima avevamo mangiato. Lasciato il Baffo
infatti eravamo decisi ad ingannare l’attesa andando a mangiare
il pesce fresco, ma, fatti pochi passi, già rinunciammo
ché Il Pirata sta in centro, un paio di chilometri, e ci siamo
buttati nella rosticceria dell’angolo. Ordinato un pollo arrosto
e Coca Cola, ché il Marshall, quando mangia, non beve, guardo EL
Sol de San Luis Potosì afferrato sul bancone all’entrata e
per fortuna mi torna il buonumore ché il quotidiano intitola
così:
“OGGI MANIFESTAZIONE DEI POLIZIOTTI TOSSICI NELLA CAPITALE.
RIVOGLIONO IL POSTO DI LAVORO !”
Ho divorato il mio piatto, il suo, la mia insalata e persino la razione
da riportare al cane cui restano infine solo pochi ossi - che strano!
qui ai cani non fanno male le ossa di pollo, anzi pare che proprio
siano di loro gradimento! -
Ma il flusso dei miei ricordi si interrompe che sono
arrivato in zona, non vedo birrerie o locali pubblici che possano avere
un bagno, ed entro nel negozio di autoricambi dove c’è un
gruppetto di persone intente a bere intorno ad una cassa di
polistirolo, enorme, piena di ghiaccio e birre, me ne faccio una mentre
osservo l’addetto che tira giù con un palo una ad una
quasi tutte le cinghie di trasmissione per trovare quella che serve a
noi - è di un tipo obsoleto - commenta - ... come la macchina -
aggiungo io, provocando un’ondata di buonumore fra gli avventori
dell’improvvisata cantina.
La Coca Cola al contrario non è imboscata, ma in bella mostra in
un grande frigo rosso nuovo fiammante; pago, prendo i pezzi ed esco.
Per un bagno non c’è verso, ma oramai mi si è
già seccata, era solo acqua, o meglio birra, ed il caldo torrido
avrà fatto fuori anche l’eventuale puzza, ma in ogni caso
mi sento depresso ed umiliato, comincio a pensare che il Baffo non si
farà vivo, che non riusciremo a concludere niente, la vedo nera
insomma ed un sordo dolore comincia a martellarmi la testa, ergo,
di fare le mie telefonate proprio non ho voglia, e così supero
di buon passo la prima cabina che vedo dall’ultima volta che sono
stato in città. Mentre tracanniamo le birre la macchina
infernale viene messa a posto, ed il motore riparte. Il Marshall
promette che pagherà la riparazione la prossima volta - ...
tanto sto pensando di cambiare tutto il motore, se me ne trovi uno a
buon prezzo - e ci rimettiamo in marcia verso la casa del Baffo, anche
se non ci crede più nessuno, trattenendoci lì solo il
tempo necessario ché il posto è puntatissimo dalle varie
forze dell’ordine, chi per arrestare, chi per comprare, la
maggior parte per entrambe le ragioni.
- No - il Baffo conferma i nostri sospetti - oggi proprio non me la
sento - e nel pieno sole delle tre del pomeriggio,
l’oscurità cala di fronte a me.
- Cazzo, mi serve l’erba! - fa il Marshall che sembra tornato in
vita ora che il suo VW cammina miracolosamente da solo e, avendo bevuto
abbastanza e fatto finta di mangiare, ha voglia solo di fumare -
andiamo in centro, l’Hippy saprà qualcosa, è sempre
in piazza lui! -
Ma l’Hippy ha da fare per mettersi a cercare con noi, e poi anche
lui conferma che, vista la situazione, è proprio difficile
trovare qualcosa, e non solo per oggi, ma almeno fino a quando non si
regolarizzi il tutto, cioè quando, ci spiega con fare esperto,
la nuova Polizia si sentirà bene in controllo e, stabilite le
nuove tariffe, potrà ricominciare il business, ossia rifornire i
pusher della preziosa polvere bianca, che vale molto più
dell’oro. Per l’erba è molto difficile, ché
essendo una droga povera e per poveri, è molto più
osteggiata dal potere, che è dei i ricchi e ama i loro vizi.
Però alla fine l’Hippy una dritta ce la dà:
- L’unico è lo Zoppo, sai alla Lagunita - cazzo, il
quartiere più sfigato e squallido della regione! Partiamo in
tromba, ma dopo un paio di centinaia di metri ci fermiamo,
c’è l’Afro che, zaino in spalla, trascina per la
strada un enorme tamburo dirigendosi verso la stazione degli autobus.
- Vuoi uno strappo, Afro? Dai salta su! Andiamo a farci due canne e fra
poco saremo di nuovo in montagna, dove stai? ti fermi a casa mia,
sì?-
Povero Afro, non sa in che guaio si va a cacciare! penso io, mentre
sposto la mia borsa e butto fuori vari rottami per far spazio a lui ed
al tamburo sul sedile posteriore. Si è spuntato le dread
l’Afro, qualcosa di inconcepibile per me, ma lui, che ha poco
più di vent’anni, è Afro solo di nome, si sa, e
ciò a causa di quei suoi labbroni sexy, coi quali non si stanca
mai di baciare qualsiasi ragazza gli capiti a tiro, che contrastano con
quelle due fessure di occhi che ricordano di più un siberiano
che non un negro.
Non facciamo in tempo a ripartire che al primo incrocio un’enorme
camionetta rossa già ridotta male ci nega la precedenza e,
volontariamente, lentissimamente ci viene addosso e quasi butta
l’Afro fuori bordo.
- Ti sei fatto male? hai preso una bella botta - gli dico e,
rassicurato dalla risata dell’Afro a cui non si può certo
dare la colpa della malasorte, ché ce la tiriamo dietro dalla
mattina, né sentirci responsabili noi del non averlo avvertito
ché tanto sarebbe venuto lo stesso, faccio al Marshall: -
Continua! adesso non ci vede, non può prendere la targa,
è coperto dall’angolo, continua! tira dritto! andiamocene
da ‘sta cazzo di città di merda! -
Ma no, troppo preoccupato per il suo preziosissimo rottame, il Marshall
accosta e si ferma per controllare i danni. Arriva l’investitore.
È grosso, ben vestito e parla animatamente dentro un
walkie-talkie nero - cazzo! contro uno sbirro dovevamo andare a
sbattere! -
Ma era tutta scena, non parlava con nessuno e forse quella radio era
pure finta, un giocattolo del figlio casualmente in macchina o, ed
è più probabile, tenuta lì appositamente per
terrorizzare le vittime delle sue turpi e sicuramente recidive
attività automobilistiche, ma, tant’è! la scena,
sulla scena di un incidente fa sempre scena, e così il Marshall
promette di pagare tutti i danni del distinto signore: un graffietto
sulla targa anteriore mentre noi abbiamo il parafango posteriore
sinistro completamente ripiegato sulla ruota, e quindi chiaramente, non
essendo in Inghilterra, la ragione... Ma le promesse non bastano e
così, dopo esserci messi tutti e tre lì a tirare la
lamiera contorta per riuscire a far muovere la macchina senza
danneggiare il pneumatico, partiamo con entrambi i mezzi alla ricerca
di un carrozziere nei dintorni. Chiaramente il falso sbirro ne conosce
uno proprio lì alla prima traversa, dove veniamo raggiunti quasi
subito da un’anziana signora tarchiatella, testimone
dell’incidente, che si è fatta tutto il cammino a piedi
sotto al sole con due enormi sporte della spesa probabilmente
più nella speranza di godersi una bella scazzottata fra i
capelloni forestieri ed il senz’altro noto bandito locale e di
aver così qualcosa di cui spettegolare colle sue comari
per i prossimi giorni, o mesi, che non per rendersi utile in qualsiasi
maniera, ma deve accontentarsi di raccontare concitatamente sette otto
volte la dinamica dell’incidente ai carrozzieri evidenziando ogni
volta il fatto che lei era proprio lì all’angolo a fare la
spesa ed aveva visto tutto; aggiungendo infine, ma una sola volta,
sottovoce, che se ne intende lei, ed avevamo ragione noi.
L’Afro sparisce nella birreria dell’angolo, deve ancora
riprendersi, dice, dal viaggio di circa mille chilometri che lo ha
riportato indietro appena adesso dalla recente visita a sua mamma ed
emozioni relative; io mi rifiuto persino di scendere dalla macchina
oramai risoluto a farlo solo una volta a casa, e così sto
lì seduto mentre la temperatura avrà raggiunto i
settantottomila gradi all’ombra, uno per ogni cazzo di abitante
di questa postazione avanzata dell’umanità in terra
ostile, a testa scoperta sotto al sole facendo attenzione a non toccare
le lamiere della macchina. Il caldo non pare costituire un problema per
l’apprendista carrozziere che armeggia sorridente a mani nude fra
i metalli arroventati distratto solo dal Marshall che di tanto in tanto
si fa portare un bicchiere d’acqua calda che butta giù di
un sorso, per calmare la sete tentando al tempo stesso di dimostrare
che lui quando guida non beve. Poi paga in contanti la carissima
riparazione alla targa del pirata della strada eseguita personalmente
dal titolare della carrozzeria, mentre promette al giovane di tornare
l’indomani a dargli le 20 carte dovute - ... tanto siamo di qui,
e così sistemiamo anche il paraurti... sì per adesso
mettilo nel portabagagli , ah, non c’entra ? allora lì
dietro per dritto fra lo zaino ed il tamburo - se l’è
veramente meritate 20 carte il ragazzo che ha fatto un lavoro da
maestro, dando per più di mezz’ora leggerissimi colpetti
con un enorme martello, da sopra e da sotto la macchina, ma sempre
sotto al sole, ed ora il parafango è rimesso letteralmente a
nuovo, sorride, ma non credo che s’illuda di vedere mai il suo
compenso. Io ho avuto il tempo di fare mente locale e quando ripartiamo
prenoto una sosta al primo telefono pubblico: - farò quello per
cui sono venuto! Nonostante il cerchio alla testa, la sbronza, la sfiga
ed il Marshall! - Ma la voce registrata dell’operatrice, che da
Singapore risponde al mio numero magico il quale mi permette di parlare
con i cinque continenti a spese di una qualche multinazionale, blatera
qualcosa a proposito di un numero di codice non più valido -
cazzo, mi hanno tagliato fuori! - e risalgo smadonnando in macchina :
- Andiamo via, Marshall, tutti i segni sono negativi, non lo vedi da
solo? Qua va a finir male oggi, non voglio dormire in galera stanotte.
Al Cedral c’è l’erba ed è buona e non
c’è tutto ‘sto casino, qua ci siamo già fatti
notare, niente coca... ma andiamo via smammiamo! -
Però il maggiolino già fila verso la Lagunita, che sembra
più aperta campagna che non un quartiere seppur periferico di
una normale città, e lì sotto l’ombra
dell’unico albero incontriamo un gruppo di operai seduti sulle
pietre intorno ad un cassa di birra. Saluti personali reciproci e
già ci troviamo con una birra calda a testa in mano, mentre lo
Zoppo, che zoppo non è ma lo era suo padre, inforca la sua bici
e dice che in cinque minuti ci porta l’erba. Gli diamo i soldi ed
aspettiamo, la banda si insospettisce un po’ per il mio malumore
e perché io non scendo dalla macchina a familiarizzare con loro
che d’altra parte parlano di calcio, io, per tenermi fuori sono
costretto a dichiarare di essere un turista e di parlare solo inglese.
- Per l’erba c’è da aspettare
un’oretta che la stanno pesando - fa lo Zoppo al suo ritorno, un
paio di birre dopo - se volete c’è la svelta subito -
Brontolio nelle mie budella... conto sul Marshall, che però si
fa restituire i soldi e dice:
- Ci vediamo fra un po’, ma solo per l’erba , ché
noi la bianca non ce la facciamo mica, siamo gente naturale noi: birra
e canne, che non si vede? - e partendo fa a noi due: - non c’ha
un cazzo lo Zoppo, non è vero niente! -
Non ho la forza di reagire anche se non gli credo, il fatto è
che a lui in realtà la coca non piace, lo manda in paranoia, a
me pure se è per questo... comunque sono troppo felice che
abbiamo deciso di andarcene da Matehuala.
... Non so come, ma ci troviamo ancora a passare per il centro. Ci
strombazzano dietro. Un’auto sportiva quasi da corsa di un
vistosissimo color arancione incredibilmente simile al nostro con i
pneumatici che larghissimi le spuntano sui lati, dalla quale trabocca
un tale numero di decibel da sembrare una discoteca mobile, è
guidata dal figlio del Baffo che ci saluta gridando - Zero! non
c’è niente - e fa uno zero col pollice e l’indice
per i pochi passanti che, assordati dalla musica, potrebbero non aver
capito bene; ma sceso dalla macchina aggiunge: - bé il personale
per fumare ce l’ho. Sì dai, andiamo a farcene una, ma non
qui, c’è da stare in campana oggi ma conosciamo noi un
posto tranquillo, seguiteci, ché facciamo il giro lungo per far
perdere le nostre tracce... –
Ed il corteo di macchine parte, vistosissimo: prima
la discoteca mobile arancione, coi due noti individui accompagnati da
due superfighette, poi noi, col maggiolino di un arancione una puntina
più scuro, dal cui abitacolo, colla cappotta aperta, emergono
tre zazzere fra cui la mia, che mi tocca le spalle, sfigura; e
l’enorme tamburo dell’Afro. Durante la tortuosa operazione
di depistaggio attraverso l’intera città passiamo davanti
alle caserme di tutte le forze dell’ordine presenti nello Stato.
Finiamo un’altra volta nella strana zona della Lagunita dove
finalmente la macchina sportiva accosta sotto un albero.
- La roba qui non ce l’ho, ma qui vicino posso comprarla,
quanto? - fa il figlio del Baffo.
- Ma allora è la stessa storia dello Zoppo! -
- Sì, ma a questi gliela danno! dai caccia i soldi! -
Minuti di battaglia ché il Marshall sostiene di avermeli
già restituiti ed io dico di no, mentre l’Afro non ne sa
niente; dopo aver contato e ricontato i suoi contanti ed essersi fatto
i conti più di una volta il Marshall si convince.
- Cinque minuti! - fa il figlio del Baffo.
Ma passa tanto di quel tempo, ed il caldo non
accenna a diminuire che il Marshall e l’Afro vanno alla birreria
lì di fronte, unica costruzione nei paraggi, mentre io mi dirigo
verso i campi per quella cagata che sto reprimendo sin dai tempi del
meccanico, quelli che a me paiono secoli fa.
Quando esco dal cespuglio vedo tornare il figlio del Baffo e mi dirigo
soddisfatto verso di lui.
Dal nulla sale fuori un grosso pick-up bianco, piomba in zona, ne
scende la borghese, la terribile judiciál, e blocca il figlio
del Baffo, prima ancora che sia uscito dal campo.
Io svicolo, non mi hanno visto.
Ho l’occasione di svignarmela, potrei ributtarmi nei cespugli ed
andarmene per di là, gli sbirri mi danno le spalle mentre
tengono il ragazzo colle mani sulla macchina e lo perquisiscono. Ma io
no, stronzo! non so se per un falso senso di solidarietà o,
molto più probabilmente, a causa del cervello annebbiato dalle
molteplici birre della giornata che impediscono alla paura di rendermi
efficiente e farmici vedere chiaro, mi ritrovo ad attraversare la
strada diretto alla birreria per unirmi al Marshall e l’Afro che
non sorreggono più il muro dell’edificio, ma, anzi stanno
penetrando fin nei più oscuri recessi del locale.
Melliflua voce dall’esterno:
- È vostra la decappottabile? -
Fregati ! Si va tutti in galera, cazzo, ed io lo sapevo da stamattina!
E perdipiù sono l’unico di tutta la banda che non ha i
soldi in tasca, né una carta di credito o un bancomat, né
d’altra parte un conto in banca. Me li presterà qualcuno
dei correi i denari per la cauzione?
- Che fate da queste parti? - domanda casualmente lo sbirro mentre ci
scorta verso il maggiolino.
- Cerchiamo un meccanico - dice convintissimo il Marshall in una zona
dove oltre alle droghe non si trova niente se non la birra e forse, ma
con molta fortuna, un qualche piccolo alimentari - sa, capo, ho
comprato la macchina ieri, e non è ancora a punto, la
trasmissione, l’impianto elettrico, ci siamo fermati a domandare
a questi della birreria, ma non mi hanno saputo indicare un meccanico
nella zona, e, sa, in centro non vogliamo andarci, qui siamo di strada
per tornare su al Real, sa, noi viviamo lì -
- Lo so - fa lo sbirro.
- Ma pure io la conosco ... sa, l’ho già vista, è
già venuto su da noi, vero? me la ricordo la sua faccia... -
- Sì, talvolta, per controlli di routine come quello di oggi,
nulla di cui preoccuparvi. - mentre praticamente smontano la macchina
senza trovare nulla, io colgo l’occasione per guardarmi intorno:
il figlio del Baffo ed il fratello sono nervosi, tenuti a distanza da
noi, le due ragazze sono nel macchinone ed armeggiano spensierate collo
stereo, probabilmente del tutto ignare del casino in cui ci siamo
cacciati, cazzo! ora anche se a noi non ci trovano niente, ci arrestano
a tutti con quella che hanno trovato al figlio del Baffo... lui non li
aveva visti, io dalla mia posizione me n’ero potuto accorgere,
né ha buttato niente, l’avrei notato collo sguardo fisso
che avevo su di lui, deciso com’ero ad intercettarlo per farmi
dare tutto prima che comparisse il Marshall, non per fregarlo certo, ma
per non farmi fregare da lui... per fortuna non ne avevo avuto il
tempo. L’altro ufficiale, quello anziano, che non si sporca le
mani colla nostra macchina, domanda:
- Già li conoscete, vero? quelli dell’altra macchina? -
- Mai visti prima! - ma come! penso io, se ci hanno seguito,
l’hanno visto che eravamo insieme, hanno visto tutto! ci avranno
seguiti dal centro o da una delle caserme cui siamo passati di fronte,
hanno visto tutto! quando gli davamo i soldi persino, ed hanno
aspettato nascosti che tornasse per fregarci colla roba in mano; magari
hanno fatto pure le foto!
- E lei da dove viene? - ce l’ha con me.
- Italiano -
- Ah! E qual è il suo bagaglio? - mentre gli porgo la mia borsa,
insiste:
- E qui che ci fa? Così lontano da casa sua... - cogli occhi che
già gli brillano pensando ai soldi che un turista deve avere con
sé, ignaro della dura realtà che, al momento, sono di
certo quello più al verde di tutta la differenziata
umanità qui riunita in allegro convivio.
- Scrivo, ché il Vostro splendido paese mi ispira -
sottolineando le mie parole col fatto che l’altro sta tirando
fuori quaderno e penna e libri dalla mia borsa; ma, arrivato ai floppy
disk, fa:
- e questi? -
- Il mio lavoro -
- È un ingegnere lui - la spara grossa il Marshall - un vero
mago del computer, uno che viene dall’Italia - strascinando la
parola Italia, come si trattasse di una magica chiave per tirarci tutti
fuori dai guai.
- E Lei che fa su in montagna? - lo interrompe l’ufficiale
anziano.
- Io, capo, faccio tatuaggi , è il mio lavoro, sa, ché
non si vede dal mio look? - e, rivolto, al più giovane - Ho
molti poliziotti fra i miei clienti! -
- Ma che dici, noi non possiamo... -
- Lo so, lo so, ma se li fanno fare quassù, sulla spalla ma
sotto la maglietta, per non contravvenire al regolamento, io me ne
intendo, sono professionale - si corregge al volo il Marshall,
strascinando la parola, che lui vede come un altro salvacondotto, poi
continua - Quando capita al real, fra una perquisizione e
l’altra, passi da me, mi conoscono tutti, basta chiedere, ed in
mezz’ora gliene faccio uno, collo sconto, chiaro, per gli amici!
Per esempio il simbolo del vostro corpo qui sulla spalla, vanno per la
maggiore fra i suoi colleghi, sa... No! bé allora una madonnina,
è cattolico vero? come me, siamo tutti devoti della Vergine qui,
e Lei ha senz’altro bisogno che lo proteggano dall’alto,
col mestiere che fa... -
- Poche chiacchiere! - fa il capo - dov’è la droga? -
- Drogaaaa? - cadiamo dalle nuvole tutti e tre - Noi? Che sembriamo dei
tossici, per caso? -
- Non ci prendete per il culo almeno, ché se ve la troviamo noi
vi sbattiamo dentro, se invece ce la consegnate spontaneamente
adesso... Collaborate! e ne terremo conto ... -
- Non abbiamo niente - fa il Marshall, tornando a più miti
consigli - noi beviamo, qualche birre, ci avete trovati in cantina, no?
Ah... Bé sì, qualche cannetta ce la facciamo, come tutti,
ma solo quando capita, dobbiamo lavorare... non abbiamo tempo da
perdere, noi, mica siamo più dei ragazzini, e poi è
troppo cara, qui. A casa mia, nella capitale... aah, lì
sì! Ma qui preferisco farmi due o tre birrette che una canna, mi
costa meno - mente spudoratamente il Marshall, che per alzarsi dal
letto lui ha bisogno di farsi due enormi cannoni, e da solo.
- E Lei? - di nuovo sono preso di mira personalmente! - Noi lo sappiamo
bene che gli scrittori... per ispirarsi... si drogano tutti. -
- Io? - con fare innocentissimo - io scrivo solo poesie d’amore. -
Come richiamate dall’ultima parola pronunciata, la prima di un
tono più confacente alle loro beltà, le due ragazze
scendono dalla macchina e vanno a ripararsi all’ombra, sotto un
albero.
- Non vi impaurite Signorine, abbiamo finito qui, e ora ce ne andiamo
tutti a far festa, se non dovete studiare ...- la butta lì,
sempre galante, il Marshall.
- Perché le parla? Vede che allora già vi conoscete?
Documentii! - perde la pazienza l’ufficiale anziano, è
nervoso, e l’altro pure, mentre il figlio del Baffo ride;
che? forse non gli hanno trovato niente! ... o non gliene frega niente
a lui ... che ha il papà in affari colla Polizia.
Per fortuna il Marshall la macchina l’ha veramente comprata, ed
ha le carte in regola e ieri ha persino preso la patente! ma
l’Afro, già sospetto come hippy in possesso di un
cellulare, ed io non ce li abbiamo, i documenti... casino...
- Io ce li ho a casa - dichiaro - ché già me li hanno
rubati altre volte, e non posso rischiare, così li affido sempre
al padrone di casa, tanto a me non servono. -
- Non servonoo!?! - sbalorditissimo il giovane sbirro, col suo mondo di
carte bollate che gli sta crollando intorno - ma come se qui persino un
cane che passa per la strada deve avere la sua medaglietta di
identificazione! -
- Ma io non sono un... cane! - e, offesissimo, risalgo in macchina e mi
siedo al mio posto.
Il capo pattuglia, per farlo riprendere dallo smacco, gli ordina
drastico:
- Una 246! a tutta la zona! - e quello parte a controllare prima le
siepi poi la strada che abbiamo appena fatto mettendo le sue mani da
sbirro in tutti i rifiuti che incontra, cazzo! vogliono proprio
fregarci, e in prima facie!
A quel punto l’ufficiale anziano si avvicina alla macchina e ...
lo vedo! Già l’avevo notato prima con quel suo manico
d’avorio intarsiato da quelle che sembrano tante tacche di
altrettante vittime, ma ora che è lì a fianco a me che
pende dal cinturone dello sbirro lo riconosco bene: è lo
stesso enorme pistolone nero, forse una 45 magnum, proprio nella stessa
posizione sua, alla mia destra, giusto fuori dalla macchina, fra il
deflettore e lo specchietto rotto.
Rodolfo de Matteis
- 2001