Il risveglio é dolce stamattina, il corpo si sente bene, avvolto da un chiaroscuro di luce sentimento energia proposito temperatura: tutto è all’inizio, quel brodo primordiale indifferenziato in cui tutto è ancora possibile. Percepisco un’onda nuova, dopo una settimana e più di incazzatura pesante, delusioni, alcool, droghe, depressione, puttane, immobilismo, il solito vecchio schema ripetitivo, che davvero non vivevo più da tanto, ma tant’è… ai vecchi compagni seppur stronzi quando vengono bisogna dar spazio, gratificarli. Oggi, invece, miracolo! sento la pelle elettrica, la gioia di vivere, nel letto sogno già del deserto, ed è vero che ho tutto pronto: il cilindro, il bastone, il vestito di seta, camicia e cravatta, e carte da gioco del MoMA, tutto per passeggiare nel deserto. Quell’idea che viene da anni indietro: dal viaggio col vikingo quando mi si presentò col più grande peyote che avessi mai visto, e perdipiù sradicato dal deserto con tutta la radice! … ore dopo mi avrebbe detto: ora so perché facesti Oooh oh oooooh quando te lo mostrai, e che a ‘sto punto ci toccava mangiarlo con radice e tutto… e ci trovammo sul tappeto volante a velocità infinita fra fiumi vorticosi di stelle e poi lo vidi fare l’amore colle piante col bruco e trasformarsi in tutto ciò che incontrava ed alla fine mi parlò come vecchio cercatore d’oro già mezzo coyote e camminò il giorno dopo con me, soldato reduce di mille guerre.
In un attimo mi sveglio del tutto, la decisone è presa, il giorno sognato nei dettagli, finalmente ho l’energia per fare quei bagagli, che non ci vuole più di un’ora in realtà quando è il momento, ma a pensarlo per giorni quando non ce la fai sembra un’impresa impossibile e manca l’aria e fa troppo caldo e le braccia son pesanti, brr nulla a vedere con ora! Mille valigie aperte davanti a me, ovvero tre, e mezzo, cazzo da sempre lo so che bisogna viaggiare leggeri, ed io no, ho dietro uno studio audio-video-comunicazioni, milioni di caricatori, di cavi, di libri, di piante medicinali, di vestiti, castagne secche, olio d’oliva, bombay sapphire, ditalini di farro, pietre raccolte qui e lì, tovaglie africane, giada dell’alaska, dvd, braccialetti da donna in cristallo multicolor portati per vendere ma che regalo, calendari di tutte le attività ludico-culturali di questa città, fornelli, pentole, telefoni, penne, lucchetti, catene, sleeping, coperte, stuoie da yoga (quattro!)…. E dire che son in un hotel, colla mia bella finestra con vista a ponente su città del messico, cazzo la amo questa vista, amo scrivere qui di fronte, come sto facendo ora, e un brivido di rimpianto mi corre su per la schiena a pensare di andarmene, ma tant’è… organizzo in fretta i valigioni, uno colle cose che porterò in italia resta qui all’hotel; nell’altro enorme borsone nero rattoppato reduce di anni a casa di rolando a real, grazie rolas!, metto le cose che dovranno restare qui in questa cittá, divisione dei libri in spagnolo quale porto quale resta quale emigra, tipo should I stay or should I go, now; telefono a jorge e contratto di poter lasciare il borsone a casa sua, devo esser sincero, non so quando lo riprenderò, mi chiede le misure, che strano non ho un centimetro con me, ma mi arrangio col mio palmo esteso che fa appena un po’ più di 25 cm… sì ok ci entra.
Anche questa è fatta, le valigie da lasciare le chiudo. E …utta… il valigione rosso quello da portare, vecchia benedizione e/o maledizione del nuovo millennio, fatto di plasticone con ruote, a prova di pioggia, duro e forte che quante volte mi ci son seduto su aspettando un passaggio facendo l’autostop sulle infinite autostrade americane, easy rider: chi era un avvocato pazzo o un medico alcolizzato quello colla valigia che mi ricordava jack kerouac? Sicuro, soprattutto il valigione rosso è sicuro ché ha una chiusura incorporata nel manico di cui ogni tanto mi scordo la combinazione ma poi torna, al sicuro dai facchini guatemaltechi che quando lo mettono su quegli autobus multicolor che corrono a tremila superandosi in curva colla musica a tutta birra, ed addirittura una volta per gadget appeso allo specchietto c’era una bottiglia di birra corona a testa in giù come flebo diretta in vena ad un paziente allettato probabilmente l’autista nei suoi rarissimi giorni di riposo, ebbene quei facchini che già si mettevano colle manucce nelle mie borse precedenti nulla possono contro il valigione rosso e quando lo tiran sul tetto che fa anche più di 30 kili e mi domandano, ma che porti pietre? esattamente pietre e libri che pesano uguale… sembrava sicuro il valigione rosso finché la Trasport Security Administration USA trovò la maniera di aprirlo quando io, sospettissimo, dimenticai di inviarlo aperto… è chiaro che chiama l’attenzione, rosso, grosso e pesante, ed io che me lo camallo fra i continenti indefesso… o forse fesso: perché tenere tanta roba?
E non basta che oltre a quello parto con un non so come si chiama, quel porta vestiti Pierre Cardin che mi lasciò papà e che è così comodo con dentro i miei vestiti, un giubbotto di pelle nera a toppe, una chicca che ho trovato a Tepito, quel fantastico mercato popolare enorme ed economico che il governo “rivoluzionar-democratico” della città più grande del mondo vuol cancellare insieme a tutti gli ambulanti ovvero gran parte della gente nel nome della politica neo-liberista in altre parole di supermercati tutti uguali in tutto il mondo colla stessa roba di merda delle multinazionali assassine dappertutto per permetterci di morire felici succhiando una barretta di zucchero con una enorme trave transgenica e radioattiva nel culo… E poi abiti di scena e del vestire quotidiano, che fortunatamente nei miei giorni migliori si mischiano in libertà, e non si sa più qual sia la scena e quale la vita, ma questo già lo ha spiegato bene Macbeth.
E non basta che oltre al valigione rosso ed al porta abiti Pierre Cardin, ho lo zainetto, che non è tanto etto, anzi sì è proprio grossetto: comprato in Chiapas a colori mimetici nella miglior tradizione guerrigliera e zapatista, con mille tasche e zip, e dentro ci insacco computer, videocamera, macchina fotografica, iPod, hard disk, con relativi caricatori ed accessori, tremila euro di roba, e poi occhiali, da vista, da sole, da lettura, maglie ché la notte in bus nel deserto potrebbe esser fredda se piove e questi hanno la mania dell’aria condizionata, un libro da leggere, un paio di quaderni da scrivere, tutti i documenti miei più importanti e poi coltello svizzero, bussola, preserativi, moment, accendino…
E non basta, addosso ho passaporto, portafogli, bancomat italiani messicani ed americani, ed un sacco di dollari, euro, sterline, pesos… tutti i miei averi, compresa la cosa forse più preziosa: la patente, che di ‘sti tempi se te la perdi non si sa mai se te la ridanno.
In istrada, è notte, il traffico è scarso, ancora non si riprende la città dall’allarme della febbre porcina, i messicani, uno dei popoli più caldi che conosca: non c’è una panchina un angolo un muretto senza che una coppia che si stia baciando, appassionatamente, di tutte le età, di tutti i sessi e di tutti i look, ebbene li hanno puniti con mascherine tappabocca, con cartelli in tutti gli angoli che ti invitano a non salutarsi de mano y de beso, li hanno chiusi in casa vietando il lavoro, perché dovevano approvare come han fatto quelle leggi liberticide ed antipopolari alle quali era prevista una forte opposizione popolare… ebbene come ci avevan già detto Naomi Klein ed Antonio Albanese, che di meglio di una epidemia, suina per di più, che schifo? Giri di soldi a non finire fra Roche, OMS, e governi; gente che veniva fregata dalle catene di farmacie che ti spacciavano un’aspirina un echinacea o qualsiasi cosa come antivirale; scuole, università, ristoranti, cinema, discoteche, e chi più ne ha più ne metta meglio non guadagnare stando a casa col figlioletto che non mandarlo fuori e farlo morire come un porco raffreddato, diceva la TV, festa delle TV, tutti a casa, tutto chiuso, solo il Parlamento, quello dei brogli elettorali, aperto ed al lavoro a tappe forzate. Ebbene, ne è passato di tempo, ma la gente ancora non riesce tutta, c’è chi si è chiuso in casa per sempre, con decine di gabbie di conigli che si riproducono come i conigli e che poi ammazzi uno dopo l’altro per nutrirti, ed escono solo furtivi e veloci per procurarsi la droga, lo zucchero, che in casa non sanno coltivarselo. La vita notturna di questa città, ricominciata alla grande da qualche anno, è un po’ diminuita di nuovo: ubriacati a casa, ingozzati di birra davanti la TV, picchia tua moglie ed i figli se ti scoppia il cervello, ma non uscire, fuori è pericoloso.
Il taxi dell’hotel, quello notturno, privata utilitaria rossa con un simpatico signore di servizio che sembra un Groucho Marx in tarda età, è lì davanti parcheggiato, come ogni notte, ma so che è caro, oddio caro, con 6 o 7 euro ti fa fare chilometri al sicuro nella notte, ma tant’è io so che col tassametro non son più di 30 pesos (€ 1,60) ed allora lo saluto cordiale come sempre, ma lo lascio dentro il portone ove aspetterà le 4 quando arriva Benito, quello dei giri turistici, chiacchierando col portiere di notte davanti un fornello elettrico ed un barattolo di nescafé, imperante qui ove cresce uno dei migliori caffé d’altura del mondo intero. Esco ed appoggio il valigione rosso in strada, zaino in spalla, portabiti attaccato alla spalla destra, bastone in mano col quale faccio cenno ai pochi tassì di passaggio di fermarsi, non son manco le undici, ma non è un fine settimana e la strada, la centralissima Isabel la Catolica è quasi deserta. I primi due o tre taxi passano occupati finché non accosta un Nissan Tsuru, il 99% dei tassì son Nissan Tsuro o maggiolino VW, è dei nuovi colori oro e rosso, molto più affidabili dei maggiolini verdi, spesso abusivi, che possono sequestrarti, dicono, ma a me non è mai successo, e rubarti tutto e portarti al bancomat a ritirare il massimo possibile, e poi aspettare la mezzanotte per un altro prelievo prima di rilasciarti, in buone condizioni se non hai opposto resistenza. Ma non passa un maggiolino, che io prendo sempre ché costa di meno, e così accosta il Nissan rosso e oro, ha una specie di ombreggiante sul vetro, non lo si vede in faccia, tiene il finestrino chiuso, spesso son loro che temono di esser assaltati da falsi clienti la notte, a volte addirittura preferiscono non fermarsi in preda alla paranoia dilagante e girano tutta la notte in cerca di una donna o uno straniero soli, più affidabili.
- Central del Norte - gli dico attraverso il vetro oscurato, nemmeno lo abbassa, però scende ed apre il portabagagli, io vengo con il bastone in mano, quello che uso per fare degli esercizi e che oggi porto con me, ma, nonostante questo, ovvero l’apparenza da invalido, il taxista non mi aiuta a mettere il pesante valigione rosso nel portabagagli, ove introduco pure il bastone pensando, che cafone! lo zaino lo tengo con me e me lo metto sulle gambe quando salgo sul taxi posizionandomi nel sedile anteriore, quello del passeggero.
Il taxista mette in marcia lentamente senza porre in azione il tassametro, quando glielo faccio notare mi dice in maniera burbera ed antipatica che pagherò 70 pesos, gli faccio notare che sono 20 o 30 pesos e che deve mettere il tassametro per legge, quello insiste sui 70 pesos e la cosa mi fa imbestialire, se dovevo pagare in eccesso allora andavo col tassì dell’hotel, un ometto tranquillo e gentile che vedo tutte le sere, e così gli dico di farmi scendere, l’uomo non si ferma subito, devo insistere, mi dice di non gridare, praticamente gridando lui. Infine si ferma, a una decina di metri scarsi dal punto di partenza, scendo mi infilo lo zaino in spalla e, quando gli domando di aprirmi il portabagagli, quello mette in moto partendo a tutta birra collo sportello ancora aperto! Allora mi ci aggrappo, colla mano destra alla cornice inferiore del finestrino che avevo tirato giù appena salito in macchina e colla sinistra alla maniglia interna dello sportello, convinto ti poterlo trattenere, quasi fossi superman! Ma quello se ne frega ed accelera ancora di più, e mi trovo ad essere strascinato. L’asfalto di questa città, il pavè di Isabel la Catolica, entra a far parte di me, della mia gamba sinistra, mentre quello continua a strascinarmi e ad accelerare . - ¡Parese! – si fermi, gli grido. -¡Vete! ¡Vete cabrón! – vattene, lascia, mi dice lui a denti stretti accelerando sempre di più tirando le marce quasi fosse ad una corsa. Io stento a credere a quello che sta accadendo, e penso che in fondo le cose mie più importanti e di valore ce le ho con me, computer portatile, iPod, videocamera e macchina fotografica nello zaino, e soldi e passaporto nel marsupio che ho legato in vita, ma non mollo, un po’ per paura di lasciarmi andare a questa velocità un po’ per una testarda volontà del tipo, a me non mi freghi!
La cosa si fa più tesa e pericolosa, quando passato il primo incrocio con calle Uruguay quello si mette a zigzagare con il taxi a tutta birra, per convincermi a mollare, ma io non mollo, pensando, cazzo ieri sera mentre mi accompagnavano a casa in macchina amici alle tre di notte facevo notare loro quanta polizia c’è sempre qui intorno, e me ne lamentavo! ed ora invece dove sono? però so che prima o poi li dobbiamo incontrare…
Al prossimo incrocio quello svolta a destra su Venustiano Carranza, e qui si me la vedo brutta, la forza centrifuga tende a spingermi le gambe sotto la macchina, ed io devo zampettare ad alta velocità per paura di finire sotto le ruote… ma, sorpresa! Nemmeno si riprende dalla sbandata la macchina che un tipo in maglietta verde si mette a correre a piedi ed inseguendoci scende dal marciapiede di sinistra sulla strada, cosa che i messicani non fanno mai, mostrando una tessera nella mano destra urlando:
- Ti ho visto, cabrón! sono della polizia, fermati! – io penso, che brava persona! non è un poliziotto secondo me quella è una carta di credito o chissà che, eppure sta tentando di salvarmi! ma il taxista pare bersela e lo vedo incerto preoccupato, rallenta, non so dire se si fermi prima lui o ancor prima si senta la sirena di una pattuglia della polizia, che dal fondo di Venustiano Carranza arriva di volata. Sono salvo!
Io dico ai poliziotti: - fategli aprire il bagagliaio! Voglio le mie valigie! Devo partire! – non penso ad altro, l’autobus per il deserto non voglio perderlo, ce l’ho fatta e devo partire. Il taxista scende di corsa dal posto di guida gridando: - E ora mi paghi! – mentre uno degli agenti, due giovani che sembrano tranquilli ed affidabili, mi dice: - Ma non puoi andare da nessuna parte in queste condizioni, guardati! - . Ed allora abbasso lo sguardo a vedere lo scempio che il pavé ha fatto sulle mie gambe: sangue che scola abbondante, jeans strappati, scarpe rotte, il ginocchio sinistro che sembra un villaggio afgano bombardato comincia di colpo a bruciarmi di brutto e la caviglia destra a farmi proprio male.
Viene de Tlalpan! E non voleva pagarmi! – fa il taxista, come se fossi stato io a tentare la fuga e non lui! Tlalpan è lontano, saranno minimo 100 pesos di tassametro, ed io allora m’infurio: - Che? questo quasi mi uccide e vuole pure i soldi! Per fortuna c’è un testimone! – ma del tipo in maglietta verde non c’è più traccia, avevo ragione non è della polizia, ma in cuor mio lo ringrazio lo stesso, mi ha salvato comunque, anche se ora vuole evitare i casini e le eventuali conseguenze o vendette di una testimonianza ufficiale; ed allora dico alla polizia – Io questo lo denuncio per tentato omicidio! Andiamo al mio hotel qui all’angolo, da dove sono appena uscito e ve lo diranno loro che non vengo da Tlalpan. Ma prima voglio la mia valigia! -
Così mi trovo a camminare colla valigia rossa, verso l’hotel con un agente mentre l’altro resta col tassì. All’hotel Isabel con mio grande piacere il portiere di notte, un ex-poliziotto che mi era sempre sembrato un po’ antipatico perché mi fa pagare la notte extra se un’amica sale in camera mia, non solo conferma la mia versione ma aggiunge: - Il signore è un nostro rispettabile cliente, è un gran lavoratore, una persona impeccabile! - mi fa davvero bene ascoltare queste parole. Approfitto per chiedergli se mi tengono la valigia, il poliziotto dice che non è possibile, che è una prova, io mi preoccupo un po’ anche perché nella valigia ho dei bottoni di Peyote secchi, vietatissimi, ed insisto: - ma non vede come son ridotto! Non ce la faccio a trasportarla, pesa, è piena di libri! Le cose di valore che voleva rubarmi sono qui nello zainetto! -. Quello cede e torniamo sul luogo, ma il tassì non c’è!
- L’hai fatto andar via! quanto ti ha dato? – grido imbestialito all’altro poliziotto.
- Ma no, calma, sta lì al telefono! – e lo vedo a parlare da un telefono pubblico lì all’incrocio con Palma, ma oltre al tassì lì davanti arriva un’altra pattuglia della Polizia, e tornano tutti insieme, questi altri agenti, anzi uno è graduato, che ha chiamato lui per telefono credo, sono di tutt’un'altra risma, anziani, sbronzi, ed uno strafottente ed aggressivo mi fa:
- Devi andare all’aeroporto? Adesso la dogana la passi qui! -
Cazzo! La storia può mettersi male, sono solo con il taxista e quattro sbirri, notoriamente taglieggiatori e fra le cui fila in Messico si annidano le peggiori gang di sequestratori, vogliono perquisirmi ed io ho tutti i miei averi addosso! Fra l’altro qualche migliaio di dollari in contanti con i quali dovrò comprare l’artigianato maya in Guatemala, da riportare in Italia per fare l’estate di mercatini.
- Cosa? Questo tenta di uccidermi e tu osi minacciarmi? Io lo denuncio hai capito per tentato omicidio, e se insistete a minacciarmi denuncio pure voi! -
Il graduato sembra riflettere e dice: - Vabbe’ devi partire, devi andare all’aeroporto no? secondo loro uno straniero va sempre all’aeroporto - dai che vuoi che pretendi, un risarcimento… quanto vuoi? -
- 10mila pesos- dico io! mi sembra giusto, non può certo cavarsela con qualche spicciolo!
- Tu sei pazzo! - dice il poliziotto, non c’è altro da fare andiamo in caserma, ma prima fatti controllare!
- Manco morto che tu mi tocchi! Sono io la parte offesa! -
L’impasse è superata dall’arrivo dell’ambulanza. - Chi l’ha chiamata? - fa il graduato. - Io, c’è un ferito!- risponde il giovane sbirro ch’era rimasto lì mentre andavo all’hotel coll’altro. Sull’ambulanza mi spiegano che non potrò andare da nessuna parte, mentre mi tagliano il pantalone sinistro e medicano la ferita che brucia, mi spiegano che il problema peggiore verrà dalla caviglia destra che si gonfierà al punto dal rendermi impossibile il camminare per 15 giorni!
Quando scendo e ritorno in strada la situazione torna ad un punto morto, io dico che voglio denunciarlo, loro dicono che allora devo andare in Centrale, io voglio farlo qui ma non è possibile ed io temo a salire nella volante e ritrovarmi con tutti i miei averi nelle mani loro che potrebbero facilmente farmi sparire, buttarmi in un fosso e prendersi tutto, sono convinti che debba andare all’aeroporto, uno straniero solo, senza nessuno a denunciarne la scomparsa, la vita umana qui vale anche 20 volte di meno della somma che ho con me!
Di colpo mi suona il cellulare, è Socorro, si chiama davvero così, è una signora che insegna nell’Università di Xalapa, capitale dello stato di Vera Cruz, così lontano eppur così vicino ora, non vuole niente, chiama solo per salutarmi, il suo sesto senso glielo ha fatto fare proprio adesso! Le racconto tutto, lei mi dice di non andare assolutamente coi poliziotti, di chiamare subito un avvocato, di non lasciarmi perquisire né andar via con loro. Riattacco.
A me è venuta l’idea, dico, andiamo pure e salgo nella pattuglia, ma prima prendo il numero di targa e telefono ad un altro amico mio qui in Città e comincio a dirgli quello ch’è successo:
- Sono sulla pattuglia numero tot, targata tot, cogli agenti tizio, caio e sempronio, per fortuna in Messico i poliziotti hanno un badge con il nome scritto attaccato alla camicia e continuo snocciolando per telefono tutte le strade e le svolte che facciamo aggiungendo – stiamo andando alla Delegación Cuauthemoc, chiama un avvocato e fammelo trovare lì! - Il mio amico mi dice ch’è impossibile, ch’è mezzanotte, che non conosce avvocati né può venire lui, di non preoccuparmi, ma io insisto, il mio proposito è solo di far sentire ai poliziotti che non sono solo, che sono coperto, che sanno già di loro… ed infatti arrivo sano e salvo alla Centrale di Polizia.
Si entra, scalinata enorme in marmo bianco, porta a vetri ed un salone enorme, dice che per prima cosa devo andare dal dottore, non servono a nulla le mie proteste che ho già in mano il certificato medico dell’ambulanza, ci vuole il medico legale, e mi mettono ad aspettare su di una panca ove, sorpresa, c’è anche il tassista, anche lui misteriosamente fa la fila per andare dal dottore!
Dopo un’estenuante lunghissima attesa, entro in un dedalo di corridoi che mi portano nello studiolo di una dottoressa cicciottella, che per prima cosa mi fa levare tutte le bende che così bene mi aveva messo la Croce Rossa, mi dà uno sguardo veloce, scrive su di un foglio e non me le rimette, mi lascia così a piaghe aperte sentenziando che devo andare all’ospedale se voglio il certificato medico, quello vero e legale, il solo che possa costituire una prova!
I poliziotti che mi scortano insistono che devo andare all’Ospedale e che solo dopo posso tornare a sporgere denuncia, una volta col Certificato Medico in mano, io che ho già due certificati, mi comincio ad incazzare.
- Mi avete portato sin qui, sono venuto per sporgere denuncia e lo farò! Non mi muovo da qui se prima non mi fate fare la denuncia! -
La cosa crea scompiglio, ma eventualmente io mi sono già seduto su di una sedia nel corridoio con un jeans tagliato all’altezza del ginocchio insanguinato e gonfio mentre l’altra caviglia comincia a gonfiarsi ed a dolermi davvero, sono intontito e stanco, voglio andare a casa, oramai ho capito che non posso più partire, che il deserto è lontano, che mi attende una convalescenza di 15 giorni, e questi qui no, non mi fregheranno. La percezione è strana, tutti i vari poliziotti ed impiegati della Centrale mi dicono che ho ragione, che questi robamaletas (ladri di bagagli) la devono pagare, ma sono solo vuote parole di rito dietro le quali sento la loro solidarietà con il taxista, connazionale in difficoltà economiche, piuttosto che con me, straniero vacanziero. Le ore passano, devo aspettare il Ministerio Publico, mi sembra chiaro che stanno tentando in tutte le maniere di farmi stancare, rompermi i coglione e così andarmene, rinunciare, ma io mi sono impuntato. Nel frattempo il tassista sta muovendo le sue pedine, parla cogli sbirri sottovoce, ad un certo punto arriva un personaggio, non so se un avvocato o un amico suo, al quale fa vedere che ha uno strappo alla maglietta ed allora l’altro lo rassicura:
- con questo sei a posto! -
Non capisco, però poi gli da i suoi averi, poche monete che aveva in tasca, una trentina di pesos, e voleva pagarmi i danni! Di fatto gli da tutto ciò che ha.
Nel frattempo ne vengono di tutti i colori: una coppia che ha litigato e venuta alle mani, un’altra famiglia che grida e si agita all’entrata, tre simpatici ignori ubriachi che sono stati derubati di tutto e con i quali chiacchiero a lungo, una signora coll’avvocato che viene a ritirare suo marito dalla galera, e tutti, a qualsiasi ora arrivano, hanno la precedenza su di me e vengono fatti passare dal Ministerio Publico, mentre io, che sono stato il primo ad arrivare, e sono l’unico ferito devo aspettare, ma di certo non me ne vado! Oramai sono disposto a tutto. La cosa è interessante perché l’ufficio del Ministerio Publico è una gabbiola di vetro, per cui io vedo tutto, anche quando, terminati i suoi compiti cogli altri, alle 5 di mattina, si mette a dormire nella ben nota posizione del guerriero, ovvero colla testa reclinata sulla scrivania. Dopo una siesta di una mezz’ora rialza la testa e, vedendomi ancora lì, mi fa gentilmente passare.
La cosa interessante della mia denuncia, uno stressante lavoro di battitura a macchina delle mie dichiarazioni che devo continuamente correggere perché subdolamente trascrive le cose un po’ diverse, è quando si deve valutare l’entità della tentata rapina. Io non temo a tirar fuori ora tutti i miei averi, essendo nell’ufficio di un magistrato con tutta la polizia testimone, ed a dichiarae il loro valore effettivo, ma lui sente solo l’opinione di un tipo e così il mio iBook Mac nuovo pagato 1500 dollari 4 mesi fa, viene valutato 3000 pesos (meno di 250 dollari) e così via… però infine ho la mia denuncia fra le mani! Con mia sorpresa questo punto si portano via il tassista.
- dove lo portano? - domando
- agli arresti! -
Me ne posso andare, chiaramente la pattuglia che avevano promesso mi avrebbe riaccompagnato a casa ha ben altro da fare e così me ne devo andare solo, carico di tutti i miei averi, zoppicante, e qui alle 6 di mattina è ancora scuro, sono preoccupato un po’… ma prendo una decisione, non salirò mai più in un taxi senza guardare bene negli occhi la persona alla guida, se non mi convince non salgo, e così mi sento tranquillo e tutto va bene.
Passo un periodo di riposo forzato, di fatto riesco a camminare, ma certo non posso fare le scale, comincio ad usare i microbus per spostarmi, la caviglia si gonfia tantissimo e con essa il piede, e fanno male, mia figlia mi dice per telefono:
- Tu sei pazzo! Chi te lo ha fatto fare? Che te ne importa dei bagagli? -
Dopo una ventina di giorni mi arriva una notifica dal Tribunale, devo presentarmi obbligatoriamente il 2 luglio, se non mi presento son previste multa e sanzioni, cazzo l’uno ho il biglietto per l’Italia, chiamo e per telefono una donna, il Ministerio Publico del Tribunale, mi dice che le dispiacerebbe molto dover liberare l’uomo cosa che succederà se io non confermo il riconoscimento il 2 luglio. Io quasi non posso credere che stia ancora in galera, dopo 21 giorni! La signora è gentilissima, mi dice che se debbo partire il primo di luglio mi può anticipare la data, l’importante è che io vada. Comincio a pensare di non andare, non me ne importa niente che quello lì stia dentro… Temo però di ritrovarmi con un qualche problema, magari sul computer all’aeroporto una volta che torni, io sono residente qui.
Proprio il 30 giugno ho appuntamento con il mio dottore, un agopuntore medico olistico che viene da Los Angeles, mentre mi tratta anche per il trauma fisico dell’avvenuto, dopo tanto tempo ancora mi duole tutta la parte sinistra del corpo a causa dell’asimmetricità della mia posizione durante lo strascinamento forzoso, gli dico del mio dilemma se andare o no a testimoniare. Il doc mi dice decisamente di sì:
- che ti paghi le spese almeno, e che apprenda a non farlo più! -
- quali spese? Sicuro che le devo documentare! -
- quello che paghi con me, tanto per cominciare – la storia comincia a sorridermi, in effetti è caro il mio doc! così mi faccio fare una ricevuta della sua parcella inclusiva delle spese di consulta, trattamento e medicamenti. Tornando in hotel penso, volevo andare in montagna, ove risiedo e mi è stato impedito dall’aggressore che mi ha costretto a letto con prognosi d’immobilità di 15 giorni, dopo i quali non potetti muovermi uguale dovendo io aspettare la data in Tribunal, e così mi faccio fare una ricevuta dall’Hotel dove sono stato dal fatidico 9 giugno sino al 2 luglio quando vado in Tribunale. Decido di non dichiarare quello che perdo per il mancato lavoro in Italia dal 1 luglio alla nuova data di partenza, lì sarebbero soldi veri, che mi potrei anche far certificare dalla coop di cui faccio parte, ma tant’è penso se ho deciso di restare ancora è una mia decisione, non avevo tanta voglia di andare in realtà! Comunque metto nella lista delle spese il costo dello spostamento data di volo, ed il prezzo delle scarpe e dei jeans distrutti dell’incidente, senza però comprovarli colle relative ricevute.
Io decido che se devo andare, per la prima volta in vita mia dalla parte “giusta” della sbarra in un Tribunale, io che ho assaggiato ripetutamente i conforts delle celle di tre continenti, vale la pena di farlo per bene, e così mi metto un vestito di seta italiano color crema comprato per fare performance nel deserto (che poi feci a luglio: "rodelfo @ the end of the world" e "LYCOS"), camicia nera ricamata italiana, cravatta violetta bordò verde e ghiaccio dal tema astratto, ed accentuo la mia zoppia e la mie età sentendomi vecchio ed accompagnandomi sempre con un bastone. Se la giustizia umana è una farsa, ebbene farò la mia parte: stavolta gioco io e per davvero, ovvero mi comincio a divertire!
Il Tribunale sta dentro il complesso del terribile Reclusorio Norte, lontanissimo proprio sotto le antenne che si vedono Città da qualunque punto della città mirando a Nord se il giorno non è completamente appannato dallo smog, come qui accade spesso. In compenso la Ministerio Publico è un’affascinante signora che mi devo trattenere per non invitarla subito a cena. Quando le domando se ho bisogno di un avvocato mi dice:
- Siamo noi il tuo avvocato, tu sei la parte lesa che ha sporto denuncia, siamo noi della Procura ad dibattere in tuo favore - io sono ancora molto incerto dico che non me ne frega niente che quello lì stia dentro, che ha già pagato con i suoi 24 giorni di prigione, e le domando quanto rischia - 4 anni e nove mesi - fa lei tranquilla come se parlasse di noccioline, io quasi svengo… confesso alla mia affascinante licenciada che non arriva ai 40 anni, passati bene, che 5 anni in galera sono una vita, che io non sono d’accordo, che per me il tenerlo in galera non serve etc.
Nemmeno lei sembra insensibile al mio fascino, si vede che è un piacere averci a che fare con me, intercalando risate amene e chiacchiere varie ai discorsi giuridici; e poi sono l’unico vestito elegante, a parte lei s’intende, gli altri dalle addette alla pulizia su su sino ai giudici son tutti in jeans e maglietta, e c’è pure qualche impiegata che col caldo che fa sta in top e minigonna. Mi spiega paziente per convincermi che, a parte la Giustizia nella quale lei sembra proprio credere che vuole lui dentro ed io risarcito, il colpevole avrà la possibilità, pagandomi il dovuto, di accedere ai benefici della legge e così di uscire in libertà vigilata, di fatto lei è già molestata dal fatto che l’accusa di violenza privata che lei aveva richiesto non è stata accolta dalla Corte e che si va in giudizio per il solo tentato furto. Io le dico che secondo me non il taxista ha una lira per pagarmi, che persino il taxi non è più agli atti perché non era il suo, è un semplice autista, ma Leticia mi dice dall’alto della sua esperienza che, quando si tratta di uscire di galera, tutti trovano parenti che li aiutano. La cosa mi pare ragionevole, lui può uscire ed io averci dei soldi, però non so ancora… la cosa mi pare esagerata.
- Ora può accomodarsi coll’avvocato che prepara l’Udienza, che ci sarà oggi stesso - e mi fa accomodare con Raul, un giovane precisino e lui sì con camicia e cravatta, i due sudiamo abbondantemente così vestiti mentre prepara tutto il papeleo. Nel frattempo si parla del più o del meno, come sempre in Messico si lavora tanto, troppe ore, praticamente sempre, pero abbastanza relax, e così quando si passa a parlare degl’interessi spirituali, tira fuori con orgoglio dal cassetto una maxi foto ove c’è lui, l’avvocato precisino della procura in versione domenicale ovvero tutto addobbato con copricapo di piume multicolore, scudo, ascia e nacchere intorno alle gambe, vestito di un solo perizoma così come la super fica che lo accompagna: è un danzante azteca! La cosa mi rassicura, mi sento quasi a casa.
Le ore passano, quasi tutto il giorno, convocato dalle 9 del mattino la mia Udienza è chiamata alle 4 del pomeriggio. Con mia sorpresa la licenciada Leticia non viene:
- Raul rappresenterà el Ministerio Publico, io sono molto occupata, però se proprio insiste… - ma io per galanteria non voglio caricarla di altro lavoro ed accetto di andare in udienza assistito da Raul, nonostante ciò, gentilissima, si farà vedere durante l’udienza e mi pare che questo abbia il suo effetto sul giudice, che è un signore in maniche di camicia dietro una scrivania che pare un banco di scuola, in un angolo di un affollato salone ove la gente va e viene, in pochi metri ci siamo tutti compresi dattilografi e avvocato di difesa e, dietro le sbarre di una finestrella lui, il tassista. Nel vederlo così brutto mi domando come abbia fatto a salire in macchina con uno con una faccia da gorilla come questo e ricordo così che gli parlai attraverso i vetri oscurati, cosa che non farò mai più, guardare negli occhi è l’unica garanzia in questo mondo… come alle zingare al mercato in Italia, se le guardi negli occhi non ti rubano, sanno che ci sei e ti rispettano. Barba lunga, aspetto sofferto, ricomincio a pensare che potrei dire che non sono certo sia lui e lasciarlo libero, io contrario alla galera per principio!
Dapprima c’è un’interminabile lettura di tutti i verbali nei quali scopro che i poliziotti, a parte di non essere venuti oggi a testimoniare, non hanno scritto praticamente niente, niente strascinamento niente ferite niente tentato furto, niente testimonianza del portiere dell’hotel che provi il mio aver appena abbordato il taxi, niente di niente, la cosa è presentata come un alterco fra me ed il taxista, cazzo! Chissà quanto gli ha dato agli sbirri questo qua! Poi il suo avvocato chiama un testimone: un altro tassista che dichiara di averci superato e così di aver visto che io dal sedile di dietro stavo tentando di strangolare il tassista e la cosa è corroborata dal certificato medico della dottoressa della Centrale della Polizia che avrebbe riscontrato ematomi sul collo dell’imputato… in pratica l’aggressore sarei io! Mo’ m’incazzo proprio, questo qua non lo faccio uscire, è il “mio” prigioniero e da buon cacciatore me lo terrò ben stretto! Con calma glaciale dichiaro che l’altro taxista non può aver visto nulla visto che il taxi in questione ha i vetri oscurati, che se avessi potuto vederlo in faccia non sarei mai entrato nell’auto di un tipo così, che io accuso di tentato omicidio!
Raul mi fa domande trabocchetto, difficili, temo che non stia completamente dalla mia parte, finché quando si tratta di esaminare la mia richiesta di risarcimento richiede lui stesso che tutte le ricevute devono essere corroborate dalla testimonianza di chi l’ha emesse! Mi ha fregato! Il mio dottore non può certo venire da Los Angeles per una ricevuta da 500 dollari, e quelli dell’hotel chissà se verranno, praticamente un giorno di lavoro perso! La mia paranoia inizia a dilagare, son tutti d’accordo per fregarmi, anche Raul, pinche azteco da operetta, chissà quanto l’hanno pagato. Finita l’Udienza lo accuso esplicitamente di aver lavorato contro di me, lui sembra rattristato ma si indurisce nell’orgoglio dichiarando di averlo fatto così che le prove siano “forti”. Me ne vado mezzo convinto che non sia servito a niente!
Scrivo al mio dottore a Los Angeles e gli chiedo di fare una specie di dichiarazione giurata lì e d’inviarmela, e a ‘sto punto d’includere pure le spese per questo nuovo disturbo nella nuova fattura che mi faccio inviare per posta prioritaria e consegno personalmente all’Ufficio del Ministerio Publico. Mentre che per quanto riguarda l’Hotel non posso fare altro che pregarli di andare qualora chiamati, Alberto, l’ex-poliziotto ora portiere di notte mi rassicura dicendomi che lui andrà, che lo stronzo deve pagare, che è suo dovere e piacere testimoniare a mio favore.
Vado in Italia, da dove telefono di quando in quando alla bella Ministerio Publico Letizia, rifiutandomi sempre di parlare con Raul quando lei non c’è finché dopo un mesetto massimo due mi dice che abbiamo vinto. Cazzo che velocità! io che sono abituato alla kafkiana rapidità delle giustizie italiana ed indiana non posso che non complimentarmi con loro e ringraziare, anche se mi comunica che l’imputato è andato in appello e che c’è da attendere il nuovo grado di giudizio, ma di non preoccuparmi che ci pensano a tutto loro, che mi faranno sapere.
Torno in Messico ed un giorno di febbraio mi chiamano dal Tribunale, posso andare a ritirare il mio assegno!
Chiedo di quanto si tratti: 12800 pesos!
Più di quanto avevo chiesto io sui due piedi la notte dell’accaduto suscitando le ilarità degli sbirri! Una bella sommetta, ci vivo un mese qui!
Rodolfo de Matteis copyleft 2009
foto effettuate alla mostra di La Chapelle a Città del Messico, adagiato sull'istallazione fatta dagli studenti dell'Accademia di San Carlos, con le vere fasciature delle ferite di quel giorno, ed il vestito ed il bastone con cui andai al processo