IN MEMORIA DI UN GRANDISSIMO:
FABRIZIO DE ANDRÈ - LA DIVERSITÀ CORROSIVA
(articolo su "Zero In Condotta")
La bara scura ha l'odore del legno nuovo, lucidato a mano. E pesa. Pesa sul cuore e sulle spalle di quattro-cinque milioni di persone. Dentro c'è un autore di canzoni. Degli italiani il più grande di tutti, compresi quelli recentemente morti e quelli momentaneamente vivi.
E sotto la bara si barcolla, si parla, si telefona agli amici. Ad oltre una settimana di distanza ce ne siamo fatti una ragione: De Andrè è morto per davvero e del suo livello non è rimasto più nessuno. Questa morte scavalca il giorno proiettando tutti - chi più chi meno - verso riflessioni lampeggianti: per esempio sull'opera di questo "amico" andato e il suo destino.
E' interessante, se si vuole, guardare il modo con il quale i media televisivi hanno trattato l'uomo De Andrè e la sua musica. A fronte dei debordanti e pressoché ossessivi servizi a tutto campo messi in opera alla dipartita di Battisti - stavolta abbiamo assistito a una specie di mancamento. Direi uno "svenimento" dei palinsesti.
De Andrè è stato "ospitato" perché non se ne poteva fare a meno, con un pudore degno della disattenzione (ed anche degli ostracismi) che avevano caratterizzato quegli stessi media durante la sua intera vita. E' ovvio che questo spiega la differenza durante la sua intera vita. E' ovvio che questo spiega la differenza: la sostanziale inoffensività del "messaggio" di Battisti e la sottile sovversione del Pensiero Morale Ordinario di De Andrè.
Quest'ultimo punto merita d'essere sottolineato laddove si ricordino le particolari attenzioni delle quali fu oggetto dalla cosiddetta "squadra 50" - una intelligence genovese al soldo della Polizia che lo spierà dal 1970 al 1976 definendolo cantautore "filo-comunista" e che lo incluse - nientemeno - tra i sospettabili coinvolti a vario titolo nella strage di Piazza Fontana.
La diversità corrosiva di De Andrè non poteva che (moderatamente) allarmare banchieri, pizzicagnoli e notai /coi ventri obesi e le mani sudate: una genia nefasta che si annida dappertutto: tra questurini, politicomani, censori radiotelevisivi e, naturalmente, giornalisti. Così la sua poesia è stata recepita come "copertura" di un discorso scandaloso. Perché ci furono momenti in cui lo stesso vivere dette scandalo, come quando - dopo essere stato sequestrato - oltre a non volersi costituire parte civile contro i suoi sequestratori, regalò loro sessanta milioni oltre i ciquencentocinquanta che i familiari avevano versato il riscatto.
In realtà, la sua poesia è una sequenza ininterrotta di fotografie di confine, dove corre un filo di stati d'angoscia da liberare. La tematica di Fabrizio De Andrè non è basata, come ad alcuni è dato pensare, sulla pietà per gli ultimi bensì - più seriamente - sull'ipocrisia che gonfia il popolo della musica e il perbenismo in generale. Su di lui si scriverà ancora. Si rifletterà ancora.
Perché egli cade perfettamente sulla fine del secolo: in un mondo di rivisitazioni o di presentimenti. Nel mondo com'è: torbido, perché siamo torbidi e miope, perché siamo miopi. E poiché tutto è stato detto nella pianura di polvere di cui si nutre il ricordo, noi crediamo di aver bisogno ancora di un po' di concentrazione prima di porre De Andrè sottoterra.
Un tempo lungo quanto sensibilità personali o i cunicoli che egli è riuscito a scavarci di dentro. Dovremo percorrerli per rintracciare il canto nel vacillio delle cieche certezze, delle visioni chiare.