BREVE COMUNICAZIONE di Rodolfo de Matteis

al CONGRESSO INTERNAZIONALE di SEMIOTICA del TESTO MISTICO
L’Aquila 24/29 giugno 1991


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Ai piedi del Gran Sasso, questo Kailash centro-italiano, montagna sacra di tante esperienze mistiche personali si sarà certamente venuta a creare durante questo incontro una speciale atmosfera spirituale. Quella dimensione meditativa ad occhi aperti che sola può permettere la comunicazione anche a livello verbale della percezione di quella realtà che normalmente viene ritenuta non comunicabile specialmente a livello verbale.


Uno dei problemi che più mi ha personalmente assillato durante le mie ricerche ed esperienze mistiche e psichiche è appunto quello del riuscire a creare questa dimensione meditativa non solo a livello individuale, ma nel riuscire a trasmetterla, a crearla nel rapporto interpersonale. Non la ripetizione di parole o idee, ma la comunione del livello spirituale, difficilissima quando già all’interno di ognuno di noi si scontrano l’esigenza vitale del cuore e del cervello di espandersi di unirsi con l’Armonia Universale, con l’esigenza mentale di razionalizzare, di voler capire in termini che potremmo definire cartesiani anche la dimensione dell’esperienza mistica e/o spirituale.
È una esigenza vera e “naturale” per l’uomo anche quella di voler capire, mettere in parole qualsiasi esperienza. Non si può negarla.


Ma ci dà questo il diritto di soffocare la parte di noi che vuole respirare l’infinito senza esser schiavi delle parole?


Quante volte nella mia vita sono fuggito di fronte all’immenso, perché troppo grande per poter essere capito?


Quante volte ho trovato rifugio nella falsa sicurezza di un anestetico psicologico o chimico?


La chiarezza estrema del presagio, la potenza limpida della visione mi hanno fatto e fanno talvolta “vedere”, ma la mente si è rifiutata di riconoscere questi sprazzi di chiaroveggenza chiari come il sole per rifugiarsi in spiegazioni razionalistiche facendo riferimento a scienze psicoanalitiche o cosmologie della metempsicosi.


Mi rivolgo all’astrologia occulta (quella vera non quella dei quotidiani), agli oracoli scientifici come l’antico testo cinese de “I Ching”, allo studio delle forze in atto, ma quante volte poi, di fronte alla chiarezza del responso, l’ignoranza radicata della paura mi ha spinto a richiudere gli occhi della mente, a dimenticare, a rifiutare la risposta cercata, a dubitare dell’ampio respiro che agognano; per rinchiudermi nella sicurezza della routine quotidiana, nel tempo sempre uguale che è l’opposto dell’eternità in mutamento?
È possibile uscire da questo circolo vizioso? Il fatto è che sin dai primi passi della nostra infanzia siamo stati guidati, e continuiamo a guidare i nostri figli, verso la sicurezza del certo, del noto, del razionale o del religioso, fino alla sicurezza dello studio e del lavoro per costruirsi un avvenire secondo i parametri della generazione precedente.


Eppur sappiamo che probabilmente questi parametri non saranno gli stessi della generazione che verrà, tanto più ora che il mondo e i suoi valori cambiano così in fretta e c’è la tendenza forte verso un’evoluzione della mente umana.


Sì la società è orribile, ci distrugge sin da piccoli col suo materialismo, è facile attaccarla questa società e sacrificarsi in questa lotta, che è giusta; ma vorrei riportare il discorso al punto di vista che una verità è che in fondo la società siamo noi.


Per quanto ci riguarda emozionalmente non esiste altro che questo. Con il villaggio globale siamo tutti più profondamente che mai prima d’oggi toccati dalle alluvioni di pioggia in Bangla Desh o di smart-bombs in Iraq; ma alla fine quello che viviamo oggi è la dimensione psicologica della nostra famiglia, del nostro gruppo, della nostra piccola società. Solo qui possiamo agire, solo qui possiamo cambiare qualcosa, a cominciare da noi stessi, dall’osservazione del nostro rapporto con chi ci è vicino.


“Ma con tempo e amore si potrà creare un giardino di pace grande abbastanza per farci giocare un bambino” disse Adrian Mitchell, il marito di Joan Baez, fuggito in Canada disertando l’esercito per non andare in Vietnam, tanti anni fa.


E questa è ancora la nostra missione, perché: l’abbiamo creato? È possibile crearlo?


Non una stanza dei giocattoli pubblicizzati dalla televisione che forza i nostri figli a forzarci di comprarglieli, ma una dimensione armonica col cielo, la terra, l’acqua, il fuoco, gli alberi, i fiori, gli animali, e gli altri.


“La fantasia al potere” abbiamo gridato, ma abbiamo provato a mettercela veramente nella nostra vita, non solo nelle agenzie pubblicitarie?


Come sappiamo siamo condizionati sin da piccoli dall’atmosfera, dal comportamento, dalle idee e dai pregiudizi di chi ci circonda.
Ed è inevitabile il conflitto fra questo condizionamento statico passato e la mutevole realtà che ci circonda: questa ragnatela quadrimensionale sempre ricreantesi dell’antica cosmologia di tipo sciamanico europea dove ogni vibrazione di una fibra in un qualsiasi punto dello spazio tempo fa vibrare l’intera struttura, nella quale l’osservatore-partecipante è sempre al centro. Che tanto somiglia alla struttura della materia come possiamo intravedere alla luce degli ultimi sviluppi teoretici e sperimentali della fisica e delle scienze naturali.
Allora diviene più chiaro come tanta gente o resti condizionata, totalmente assorbita dall’illusione materialistica dello status sociale, del potere economico, creandosi sempre nuovi conflitti; o nei casi estremi, ma non più tanto tali, tentando di recuperare la sensibilità perduta si butti nell’alcool, nella droga o in vuoti rituali per lo più superstiziosi.


Ora è chiaro che bisogna porsi il problema del recupero e della riabilitazione di queste persone, che siamo noi, tentando di aiutarci ad un mutamento che non può essere che rottura drastica poiché come dice Jiddu Krishnamurti nei discorsi agli insegnanti delle sue scuole: “Il tempo come mezzo di mutamento è una illusione. Il mutamento può solo essere fuori dal tempo, non attraverso il tempo. E quando introduco il tempo nel problema del mutamento, il mutamento è rinviato, perché a quel punto il tempo è solamente un’ulteriore continuazione del mio desiderio di andare avanti come sono. Dai la tua intera attenzione non al mutamento nel tempo, ma a negare il tempo. Una mente che non funziona nel tempo è straordinariamente allerta.” 1


Ma al tempo stesso non possiamo aspettare di capire tutto, di sentirci totalmente cambiati primo perché una mente che si sente arrivata è una mente morta e secondo poiché l’immediato problema delle nuove generazioni, dei bambini, resta il più grosso se vogliamo agire per la trasformazione reale della situazione umana.


Ognuno di noi ha diritto e possibilità di cercare la propria liberazione, ma ci scontreremo sempre con quella parte di noi condizionata, con i nostri inesorabili conflitti, con l’educazione ricevuta, in buona fede probabilmente offerta in molti casi; criticamente forse accettata, ma che si è inculcata in profondità dentro di noi. E nello sforzo non c’è via. Questo è stato un punto principale dell’approccio che ho seguito durante la mia partecipazioni ai “Seminari sulle discipline dell’interiorità” con incontri-corsi da me tenuti nell’86 e ’87 fra L’Aquila ed Alghero sul tema di teoria e pratica dello Yoga: qualsiasi pratica di posizioni, respirazione e meditazione, può solamente essere affrontata attraverso il rilassamento, mai attraverso lo sforzo. Nello sforzo non c’è visone totale, non c’è sensibilità all’accadimento, non c’è osservazione della bellezza, ma solo produzione di ulteriori conflitti fisici e psicologici.


Per tornare al punto userò ancora le ben più autorevoli parole di Krishnamurti:
“Così parliamo di decondizionamento e se questo sia possibile. Egli (lo studente) deve avere in abbondanza del conosciuto ed al tempo stesso essere abbondantemente libero dal conosciuto, senza rimorso libero da esso. Insegnare ed imparare sono la stessa cosa.” 2


Il decondizionamento, seppure per noi obbligatorio, sarà sempre strada più difficile che non quella del minimo condizionamento possibile che è quello che possiamo e dobbiamo tentare d’intraprendere immediatamente nei confronti dei nostri figli, in senso biologico e sociale-generazionale.


“Siamo in una terra senza sentiero” disse da giovane Krishnamurti. È un approccio veramente rivoluzionario dopo tanti guru, gente illuminata, che ci hanno raccontato la loro personale via all’illuminazione dicendoci: “Questa è la Via”.


Negli Siva Purana, Siva dice alla consorte Parvati che ci sono 125mila vie alla liberazione, un numero finito eppure enorme.
Se vogliamo l’uomo nuovo non possiamo continuare a proporre quello vecchio.


Lo studio, la ricerca sulla mistica e le tecniche di liberazione miracolosamente sopravvissute dal passato hanno un senso solamente se prese sotto questo punto di vista. Se vogliamo entrare nel mondo della percezione, della visione mistica, o almeno se vogliamo aprirlo per chi ci seguirà, dobbiamo lasciare la possibilità ad ognuno di noi di conoscere questa o quella via, ma di andare al di là di esse, di usare tutto questo fardello di cultura per dimenticarcene in un momento solo per volare alti a ritrovare la nostra anima.

O gente partita in pellegrinaggio!
Dove mai siete, dove mai siete?
L’Amato è qui, tornate, tornate! 3

O per usare parole ancora più antiche:

La felicità del samadhi è la beatitudine nel mondo.
…La conoscenza è il dono.
Svanita la discriminazione (egli) può operare un’altra creazione.
Il potere di creare (gli si rivela) per diretta esperienza. 4

Ora se posso permettermi di chiedervelo, chiudiamo gli occhi un momento, in silenzio, con rispetto, perché così siamo soli in cima al Gran Sasso.

 

Rodolfo de Matteis

 

Reis Magos
Goa India
20-21 giugno 1991


1 Krishnamurti on Education. Traduzione dell’autore

2 Krishnamurti on Education. Traduzione dell’autore

3 Poesie Mistiche di Gialâl Ad-Din Rûmî (1207/1273). Traduzione di Alessandro Bausani

4 Siva Sutra di Vasugupta. Traduzione di Raffaele Torella

 

 

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