JAI GANGA MAHA

Goa India sul finire degli anni '80

 

È una bella casa di Goa, notte fonda, fuori c'è la luna piena, in questo periodo di piogge monsoniche i party si preferisce farli in casa, e non solo per l'eventualità della pioggia, ma anche per quella della polizia che in luoghi pubblici potrebbe intervenire. Comunque non piove, la serata è bella, tranquilla, siamo in pochi a restare durante il monsone quando tutti van via, e la festa ha un che di intimo familiare, niente di titanico, anche se la luna titanica lo è sempre.

Quasi tutti stan fuori, nel grande giardino ov'è armata la consolle del DJ e si balla e si fuma e si parla si ride e si sorride, davvero c'è un'atmosfera rara di amicizia e di affetto stasera. Io mi aggiro per la casa in penombra, scura calda e accogliente, e ad un tratto mi fermo e mi siedo su di una sedia lì in un angolo, donde posso vedere una porta che dà fuori ed un'altra sul resto della casa, la stanza è spoglia, non c'è arredamento, come si usa in India, solo le suppellettili indispensabili per il resto spazio, spazio vuoto ove il cuore respira libero e non oberato da ricordi, pensieri, urgenze. Lo spazio dell'India, lo spazio che quando vuoto dilata il tempo, attimo enorme fra una fase ed un'altra del respiro, vibrante attesa senza nulla d'aspettare se non la gioia dell'esplosione della vita, del respiro cosmico, o dell'implosione nella morte.

Non so perché mi sieda, ma di sicuro una volta seduto comincio a sgocciolare acqua dai capelli, lunghe trecce rasta che in India si chiamano Giata ed identificano i Sadhu, quelli sul cammino spirituale. Mi vengono da sole a me, non me le faccio, né faccio fare, anzi per due volte mi son tagliato i capelli, e poi mi son tornate da sole, aiutate dalla vita in jungla, in montagna nei deserti, senza l'uso del pettine, senza tanto controllo sulla mia vita, sostanza ed apparenza, una cosa sola, lasciate libere. E dai capelli cola acqua, devo aver sudato, eppure non stavo ballando ed è già da un pezzo che mi aggiro per la casa, tranquillo a passo felpato all'ombra al fresco, nulla di cui sudare, eppur sì le punte delle mie trecce, quasi tutte sgocciolano. Le lascio fare, non le strizzo, non mi preoccupo, vivo il silenzio del momento in cui sto così bene, mi sento sospeso in un mondo magico, cavalcando un alito di vento che solo sa portarmi qui e lì, c'è Lui, Shiva, il dio a guidare i miei passi, sto tranquillo e la forza di accettare il mio destino sta nel silenzio e nello stupore.

L'acqua continua a scorrere, il suo sgocciolio dai miei capelli è tanto frequente da poter esser chiamato un fluire uno scorrere. Dalla porta che dà sull'interno della casa entra Carma, la mia amica basca e si ferma a guardare e allora si siede su di una sedia di fronte a me e guarda, in silenzio.

Sto immobile, non muovo un dito, non parlo, non voglio disturbare il miracolo che sta avvenendo, è così dolce questo baciarmi dell'acqua, che deve crearsi sulla sommità della mia testa, ove a volte uso legarmi i capelli in un crocchio che giustamente si chiama la Ganga, in lingua indù Gange il fiume sacro, che sgorga proprio da quel punto che noi chiamiamo la Fontanella.

Sono passati tanti anni, e nel mio lavoro artistico e di guarigione da un anno e più sto lavorando coll'Acqua, ed un giorno cercando una foto di Shiva in cui si veda il fiume Gange che gli sgorghi dalla Fontanella com'è di solito rappresentato trovo un dipinto ove si vede che Shiva è inondato da Ganga Devi, il Gange spirituale che viene dall'Infinito e che sulla sua testa si trasforma in una cascata di acqua davanti agli occhi di un devoto.