IL PISTOLONE NERO


È sereno ma ancora non c’è il sole in questa bella mattina di tarda primavera tropicale. Mi sono alzato alla solita ora, ma non ho avuto il tempo per la consueta camminata nelle rocciose montagne che circondano Real de Catorce, el Pueblo Magico messicano,  ho un appuntamento col Marshall oggi, alle 8 a casa sua per scendere insieme giù a Matehuala, la città più vicina. Arrampicandomi per quegli alti gradoni scavati a picconate nella viva roccia chissà quanti secoli fa in cuor mio dubito di trovarlo sveglio, non mi pare proprio il tipo. L’ho conosciuto un paio di anni or sono, ma ci siamo rincontrati da poco, al mio ritorno, da qualche settimana insomma, e l’ho trovato un po’ giù. Più magro, più sbattuto, più teso, forse provato dalla miseria della vita in un paesino fra le montagne, è abituato alla metropoli lui; non che gli fosse andata male, è tuttora uno dei migliori artigiani della zona, ma la sua esistenza pare essersi ridotta alle tre C, come si dice in Messico, chamba churros y chelas, ovvero lavoro, canne, birra e ancora tanto lavoro.
Dopo l’ultima svolta mi appare alla vista la porta di casa sua, è aperta, sormontata da una testa d’aquila, al centro, piume d’aquila sulla sinistra ed una rudimentale ma suggestiva croce fatta con due pezzi di legno di cactus sulla destra . Il cane gironzola libero nell’aia, per niente disturbato dal gallo, calvo, attaccato con una corda che unisce la sua zampa ad una pietra. Appena i miei occhi si abituano alla relativa oscurità della stanza vedo il Marshall seduto sulla sedia in plastica di una nota marca internazionale di birra con in una mano un bicchiere e nell’altra un gigantesco joint . È di tre quarti ed il suo profilo che ricorda un antico maya si staglia netto contro il muro bianco, colle sue lunghe trecce rasta che gli arrivano alla vita .
- Buon giorno, già sveglio ? incredibile! -
- Che dici sono in piedi dalle sei con un cazzo di mal di testa e tutto il resto ! Sai, i postumi della sbronza di ieri sera, all’una sono venuti Marylin ed il Principe, con coca e vodka, ed abbiamo fatto le tre ... e solo ora mi sono ricordato che c’era ancora un fondo nella bottiglia ... le ho buttato dentro il succo di limone, un po’ d’acqua e me la sto curando, finalmente ...-
Non può permettersi di dividere la sua medicina con me, per fortuna, che in questi tempi tento di non bere. Mi siedo su  uno sgabellino, silenzioso, in paziente attesa che mi passi da fumare; già so che non mi porgerà la canna prima di averne fumato la metà esatta, un gesto di cortesia nei miei confronti, che agli altri passa solo il mozzicone, di solito.
Fumo, che buona l’erba qui! difficile da trovarsi ma buona, ti addormenta la gola quando la usi pura, quasi come fa la coca, ma molto meglio perché si tratta di una sensazione viva e non di anestesia locale.
- Mi presti un foglio bianco? - dico afferrando un quaderno da un tavolo pieno zeppo di pietre in differenti fasi di lavorazione ( mi piace tanto un teschio d’ambra gialla, ma già so che ci vuole trecento carte ) artigli d’aquila e di gatto selvaggio, zanne di giaguaro e d’orso, ossa di squalo, corna di cervo scolpite in forma di cactus, pezzi di giada vecchia e nuova, anelli d’argento (tanti ) e di legno di cocco, strumenti di lavoro, teschi d’aquila, pacchetti di cartine, d’incenso, vertebre di serpente, bicchieri di plastica vuoti, perline colorate e come tocco d’arte postindustriale un motore di fresa rotto da chissà quanto.
- Prendilo tutto il quaderno se ti serve, anzi prendi pure la carta igienica, che io per strada mi cago - infilo il tutto in borsa dopo aver appuntato sul quaderno le cose da fare giù in città.
- Andiamo? -
- Calma, calma, rollane uno prima, no? - e mi passa una ricca manciata d’erba, anzi di cimette belle resinose e senza l’ombra di una foglia. Comincio a pulirle mentre lui si aggira rovistando fra gli innumerevoli scatoloni addossati contro il muro.
- Pronta! che faccio, accendo? -
- Sì, sì ... o che? vogliamo farcela in istrada? -
- Sì, meglio - dico io che ho fretta di partire, arrivare, e fare le mie importanti commissioni - ti hanno lasciato i soldi, i giapponesi, per il quarto d’erba? -
- No, so’ partiti senza nemmeno salutare -
- Vabbe’, ne compriamo un po’ di meno coi soldi nostri, allora -
Chiude la porta il Marshall, poi la riapre
- Devo lasciare un messaggio, passa un pezzo di carta - ci scribacchia sopra qualcosa, attacca il cartello sulla porta che ora accosta senza chiuderla
- Cane, tu resti! - ordina, ma il mastino non pare d’accordo e comincia a seguirci scodinzolante e deve convincerlo colle buone parole prima, con una sassata poi tirata dall’angolo dove si è fermato per pisciare quando si rende conto del suo secondo tentativo.
- Gli piace, eh, al cane, andare in macchina? -
Un cenno affermativo di quella sua testa  a forma d’aquila è la risposta.
 
    La macchina è lì, un maggiolino decappottabile arancione un po’ malandato, comprata il giorno prima e posteggiata proprio di fronte al Municipio dove qui risiede anche la Polizia.
- Ma qui la lasci? -
- Sì , così non me la rubano. -
Salgo e mi siedo, felice di andare in città così, chissà quanto tempo che non salgo su di una macchina privata, la compagnia è allegra, e poi risparmio tempo e denaro.
Marshall armeggia colla cappotta di tela plasticata, aperta, poi chiusa, poi, dopo uno sguardo al cielo, già il sole ci inonda di luce nella fresca aria mattutina, di nuovo aperta. Ora invita due vecchi che passano di lì a scender giù in città con noi - che palle! - ma per fortuna vanno al lavoro - sarà per un’altra volta - li invita il Marshall - ma l’auto è una figata, vero? -
Il motore si avvia, mentre quasi l’intero corpo di Polizia ci guarda da dietro la balaustra municipale, lui li saluta allegro, io no, e mi preoccupo pure, ci conoscono, hanno già capito tutto e potrebbero aspettarci al ritorno. Comunque ... il neoproprietario d’auto combatte con marce e pedali, non aveva mai guidato prima d’ora,  ha preso la patente ieri, letteralmente, pagando la relativa tassa e mostrando un documento, come si usava qui sino all’altr’anno. Mi offro di guidare io.
- Più tardi - dice.

    Attraversiamo i tre chilometri di tunnel, unico accesso in auto al Real e poi cominciamo a discendere il massacrante pavé che terminerà solo all’incrocio colla strada che attraversa il deserto,, trenta chilometri e mille metri più giù. Sono di buon umore io, e pure lui lo è.
Accendo la canna, che devo proteggere colle mani per non farla fumare tutta al vento.
Raggiungiamo il primo villaggetto, dal nome altisonante di La Luz, quattro case ed un alimentari, a pochissimi chilometri dalla partenza, anzi non lo raggiungiamo nemmeno, ché alla prima casa il Marshall ferma l’auto in mezzo alla strada, per fortuna qui e specialmente a quest’ora non c’è traffico, e comincia  a strombazzare con un clacson mostruosamente potente per una macchina così. E suona, e suona, e suona, l’eco torna dalle montagne accavallandosi al suono della tromba, immagino che l’intera popolazione sia in allarme, ormai, ma di Billy the Kid, che tanto ragazzo non è più, nessuna traccia .
- Lasciamolo dormire, no? - azzardo io, in paranoia ché, se Billy viene con noi, l’esito del viaggio è in forse, fuori di testa com’è col suo bisogno di svariati litri di superalcoolici e di fare il gallo con ogni donna sotto i cinquanta che passi nei dintorni, nonostante si atteggi a frocio per fare comunque show.
La risposta del Marshall è una strombazzata di svariati minuti.
Ad  un quarto d’ora circa dall’inizio del ciclone acustico, che non ha causato maledizioni da parte di nessuno se non mie, si apre lentamente una specie di porta di legno da cui fuoriescono i capelli dritti color Panic Red seguiti dagli occhi cisposi del Billy the Kid che esordisce dicendo:
- Vamo allo spaccio per una tazza? - e monta dietro, scalzo, senza attendere conferma.
All’alimentari io dico: - non per me - ma il Marshall torna con tre birre. Inshallah ...
Dopo mezz’ora e tre birre a testa il sole comincia a picchiare giù duro e Billy chiede di esser riportato a casa, non è un miracolo, c’è una barbara del Nord ad aspettarlo a letto.
- Come non vieni? Andiamo a farcene un paio in città. - insiste il Marshall.
Lo scarichiamo finalmente a casa sua dopo aver dato volta. Non saprò mai perché l’autista spenga il motore, ma è certo che non vuol saperne più di ripartire, mentre Billy the Kid è già sparito nella sua enorme casa e probabilmente dorme un’altra volta.
- È il cazzo di avviamento, per fortuna siamo in discesa, ed il maggiolino non ha il cambio automatico -
Niente da fare .
- Allora manca la benzina, ho messo solo cinquanta pesos ieri, un po’ poco, no? -
Io ascoltando il rumore sospetto si tratti di qualcosa di elettrico, mentre impietosamente la discesa decide di finire, come la nostra corsa da poco iniziata, nella piazza del paese, coll’alimentari e la chiesa da un lato ed una serie di capanne in legno, che apriranno per i loro affari una volta all’anno per la festa del santo patrono, dall’altro. Un paio di ragazzini accorrono festanti, felici del diversivo, di spingere l’auto e di prenderci per il culo.
Un signore che monta un somaro si ferma  a guardare la scena ed il Marshall gli dice :
- Manca la benzina, ho messo cinquanta pesos ieri per salire, un po’ pochine , no? -
- A lo mejor - risponde il vecchio, sibillino, mentre io penso che si potrebbe attaccare quel mulo davanti e farci trainare, ma non ho il coraggio di chiederlo all’uomo, che ora aggiunge : - dovrebbe farcela però con cinquanta, che è una millecento? e poi da sotto sgocciola la benzina, quindi, ce n’è -
- No, no, è la benzina che manca ti dico, cinquanta carte so’ poche di ‘sti tempi -
Ci spingono, anzi spingiamo, sino alla prossima discesa, poi salto su, ma non si parte.
- Andiamo a comprare la benza - dice il Marshall, e fa per lasciare l’auto proprio lì, dove l’inerzia si è esaurita, praticamente in mezzo alla strada.
- Accosta, come minimo, vedi sotto quell’albero c’è pure l’ombra - non riesco ad incazzarmi come dovrei ché mi viene da ridere, ma camminando in salita verso il negozio, lo stesso della birra, non posso fare a meno di aggiungere:
 - ‘sto mezzo chilometro di salita potevamo risparmiarcelo -
- Sei proprio pigro –

        Le tre birre a stomaco vuoto alle otto di mattina cominciano a scaldarmi e così cammino allegro sotto il sole che comincia a scaldare anche la terra, apparentemente sobria.
- No, sono già un po’ di giorni che siamo rimasti senza benzina - la testa parlante spuntata dietro giganteschi pacchi di caramelle e fritture varie, che paiono essere l’unica merce in vendita oltre a birra, Coca Cola e Marlboro, distrugge le nostre speranze, e mentre mi fa accendere una rossa che ho comprato sfusa aggiunge, coll’evidente scopo di rincuorarci:
- all’entrata del tunnel, col vecchio Paco ... A lo mejor... -
Cinque chilometri più in su, cazzo! Mentre ci incamminiamo io comincio a pensare di ritirarmi dalla spedizione che, nonostante l’ottimismo del Marshall, sembra abortita sul nascere. Una volta arrivati al tunnel, avrei solo da attraversarlo per essere di nuovo nella quiete famigliare e magica di casa.
La fortuna sembra arriderci di nuovo: qualcuno passa e ci carica; arrivati all’entrata della galleria io sono tentato di restare a bordo e farmi portare diritto fino a casa, ma per solidarietà scendo.
Marshall parla coll’uomo della birreria locale e lo convince a prestarci una tanica.
- La tanica te la presto, ma il vecchio Paco non c’è, l’ho visto camminar giù per il sentiero, saranno cinque minuti, ma dove vuoi che sia andato? fra poco dovrebbe tornare. A lo mejor -
Ma dopo mezz’ora del vecchio Paco ancora nessuna traccia così saltiamo su di un camion rosso nuovo fiammante della Coca Cola per attraversare i tre chilometri di tunnel. Oscurità, freddo, sono aggrappato alle catene che mantengono le casse delle bottigliette più famose del mondo che, urtando l’una contro l’altra, suonano come un milione di campanelle cinesi; ma c’è anche uno strano suono metallico che echeggia ritmicamente allarmante e cupo del quale non comprendo l’origine, mentre il Marshall più avanti di me in piedi sullo scalino dello sportello reggendosi con una mano allo specchietto retrovisore formato bestione agitando l’altra animatamente fa il resoconto delle nostre avventure all’autista in rosso decantando il suo maggiolino quasi nuovo - .... decappottabile ... da dove vieni tu varrà un venti palloni, no? quindici al peggio! io l’ho pagato solo cinque, ora con altri cinque lo rimetto su e poi, via! sulla costa a venderlo e far festa ... -, io non ci credo tanto, ma lo spero per lui. Noto che di tanto in tanto, ad intervalli regolari, dalla volta della galleria pende un cavo metallico che, urtando contro la prima delle catene che reggono la coca, lancia quel misterioso ululato di ferro che soffre, l’avranno messo lì per ricordare quanto sia vicina la viva roccia e salvare così la testa agli operai ed ai passeggeri che usano stare in piedi dietro ai camion per godersi il fresco. Già si vede la fine del tunnel. Saltiamo giù, non senza che il Marshall dia il suo indirizzo al pilota della multinazionale nel caso volesse comprare il maggiolino, un pezzo d’artigianato o farsi fare un tatuaggio, e ci incamminiamo verso il mini Supermarket che sta a venti metri da casa mia; mi faccio coraggio e comunico a Marshall la mia intenzione di lasciarlo solo.
- Fai come vuoi, io vado, però almeno invita una birra grande, no? -
- Certo, è venuta sete anche a me - per comprare la birra devo pagare anche un esosissimo deposito per il vuoto e, durante le trattative, il Marshall ha già riempito la tanica e trovato un passaggio, ed io non ho proprio voglia di perdere la bottiglia né il suo contenuto e così salto su. Invitiamo da bere ai nostri ospiti, tipi seri in giacca e cravatta che sembrano essere commessi viaggiatori, uno rifiuta, l’altro accetta un sorso per cortesia - è così presto - si scusa, allora il Marshall, per scandalizzarli un po’ di più, comincia a parlargli della sua esigenza di curarsi della grande bevuta notturna, e dei tiri, e domanda - ve la fate voi la bianca? Ah, no. Ma l’erba almeno la fumate? noi andiamo giù a ricaricare e se volete, una volta partito il mio bolide, andiamo dritti in città, dove io modestamente conosco e sono conosciuto, e vi aggiusto in un minuto ... ok? –

    Controvoglia devo sporcarmi le mani di benzina, ché non avendo l’imbuto ce ne siamo inventati uno tagliando con una pietra il fondo ad una bottiglia vecchia di Sprite che dava bella mostra di sé nella selvaggia montagna; ma la macchina non parte.
- Te l’ho detto! è qualcosa di elettrico - gli rinfaccio io, petulante; apriamo il cofano e seppur colpiti dall’estrema semplicità del motore VW, non siamo assolutamente in grado di capirci niente, tanto meno di metterci le mani.
Grazie a Dio, sempre benevolo cogli innocenti, passa un montanaro a dorso di asinello che si ferma a guardare incuriosito gli hippies in panne, e, bendisposto ad aiutare il prossimo, nota subito che l’accumulatore ondeggia come un pendolo proprio lì sulla sinistra davanti agli occhi di tutti, eroicamente appeso al suo filo: basta fargli toccare una qualsiasi parte metallica ed il motore parte al primo colpo con un rombo che fa sprizzare scintille di orgoglio dalle trecce del Marshall. Ringraziato l’uomo, partiamo.

    Oramai sono pronto a tutto! Sono certo che questo giorno ci riserverà qualche sorpresa, ancora; ma galera o morte a questo punto non mi sembrano tanto brutte, con questo bel sole che colora di giallo, rosso e raro verde le montagne desertiche, il vento che mi infila le sue dita elettriche ed erotiche fra i capelli, ed il Marshall che guida felice il suo maggiolino color arancia matura fra le svolte della strada impietrata che ora non pare più massacrante, ma un’autostrada verso nuove avventure in attesa di noi due: gli eroi del giorno .
È un buon giorno per morire, sembro pensare, immaginandoci come personaggi di un film americano, duri e rudi desperados all’assalto della città, pronti a commettere qualsiasi reato per puro sport, risse da cantina in uno scroscio di risa, inseguimenti e sparatorie colla polizia mentre facciamo battute salaci sul bel culo della moretta che passa ... e proprio allora la vedo, no, non la moretta. La vedo, non la immagino, non è come le fantasticherie di poc’anzi: ho la netta visione di un pistolone nero che mi sembra una 45 Magnum proprio lì alla mia destra giusto fuori dalla macchina fra il deflettore e lo specchietto che traballa a testa in giù. Cazzo! Devo buttare giù un ricco sorso dalla birra per farla sparire ed un altro per complimentarmi della capacità di visualizzazione che ho raggiunto, anche se qualcosa mi dice che non è così, e allora giù un altro sorso tanto che il Marshall deve levarmi la bottiglia dalle mani volendone vedere il fondo, almeno. I miei pensieri di cominciare a sparare colla pistola immaginaria ai cactus di passaggio sono interrotti dall’improvvisa sosta dell’automezzo causata dalla delicatezza con cui il Marshall cambia le marce facendo cadere di nuovo l’accumulatore che, d’altra parte, mancando la sua vite originale è tenuto provvisoriamente in posizione da una spina d’agave. Dopo due o tre interruzioni per lo stesso motivo raggiungiamo finalmente la strada asfaltata ed allora comincio veramente a godermi il viaggio, piacevolmente brillo, sotto il sole oramai ben alto nel cielo, senza pensare più a niente.
- Che fai, dormi? - mi domanda ad un tratto il Marshall - lo so a che pensi, e mo’ ti consolo io, al prossimo villaggio ho una buona pista... per la tua amichetta, la bianca... -
È come una scossa elettrica alle budella che mi sveglia di botto dal torpore alcolico, immediatamente ho la bocca secca, il cuore in gola e devo scappare al bagno, roba che, se non conoscessi già la storia, chiederei una sosta. Comincio a contare i chilometri che scorrono troppo lenti, l’ansia mi divora.
 Finalmente mi tranquillizzo quando appare il villaggio, ma il Marshall lo supera veloce.
- E la coca? -
- Non c’era la macchina fuori la casa del tipo, ma più avanti al bivio ce n’è un altro, non ti preoccupare, ti aggiusto io -
- Ma allora perché non facciamo tutto qui? Ho sentito dire che c’è l’erba buona qui a Cedral, di sicuro è tutto più tranquillo e veloce che non in città, e ci sarà pure un telefono qui ed io sto a posto, faccio tutto per telefono, e posso tornare indietro senza andare in quella cazzo di Matehuala piena solo di polvere e di afa. -
- No, no è che devo andare dal meccanico, non vedi che la macchina ha problemi? e poi il pesce, te lo scordi il pesce? -
- Ma il tuo meccanico non è qui anche lui? -
- No, no... la macchina non c’era -
- Ma non era quello della coca... che non c’era la macchina? -
- Sì, sì... è la stessa persona, ma non ti preoccupare ho detto -
La storia comincia  a puzzarmi... avesse risvegliato la mia voglia tanto per divertirsi, il paraculo? Mai saputo che il meccanico di qui vendesse, e il Marshall non mi pare sincero...
- Bé allora andiamo dal Baffo appena arrivati -
- Sì - dice il Marshall - ma prima andiamo a pranzo a mangiare, anzi prima  lasciamo il VW al meccanico e poi a mangiare -
 - No, prima dal Baffo, è di strada! - sento dire alla mia voce, la stessa voce che tanto ho ascoltato parlare ieri sera sino a farsi promettere dal Marshall, contro ogni mio stile, che mi avrebbe invitato dal Pirata che importa il pesce fresco di giornata coll’aereo diretto dalla costa fin qui in mezzo alle montagne, dal mercoledì alla domenica. Ma lo stomaco mi si è chiuso mentre i cartelli, le moderne pietre miliari, mi segnalano lo scorrere dei chilometri, più lunghi del solito, oggi . Il Marshall mi legge nel pensiero e dice :
- Ne mancano solo cinque -
- Sono cinque per la statale, poi di lì altri cinque - dico io sconsolato .

    MATEHUALA 78000 ANIME.
Dice l’insegna... finalmente la città! Ma io sono interessato solo all’anima del Baffo, che non si sia pentita dei suoi peccati proprio oggi! o peggio. Devo battagliare col Marshall, che invece pensa solo alla sua macchina, che un’anima sofferente ce l’ha di sicuro, e vuole portarla subito a confessarsi dal meccanico; ma la spunto io e giriamo in una strada sterrata verso l’agognata meta. Due isolati prima della casa del Baffo, in una svolta a novanta gradi un’enorme camion, rosso, ci viene incontro, c’è abbastanza spazio per tutt’e due i mezzi, ma il Marshall, in un pericolosissimo accesso di cortesia stradale, allo scopo di cedergli il passo gli taglia la strada e si butta in uno spiazzo erboso sulla sinistra, e non siamo in Inghilterra! La manovra riesce, il camionista imprecando e sghignazzando sparisce col suo mezzo, ma il motore del nostro spira lì, in quello squallido posto, ed immediatamente il sole ci picchia in testa con una violenza inaudita, sarà quasi mezzogiorno oramai, ed una fortissima puzza di bruciato aumenta ancora di più la gradazione dell’aria immobile. Fa male solo a stare seduti. Il cofano è talmente caldo che non si può nemmeno aprire per vedere se fosse ancora l’accumulatore, anche se l’odore non promette una soluzione così facile.
- Per fortuna siamo arrivati, dai andiamo ! -
- No, no a questo punto spingiamo l’auto sino al meccanico, gliela lasciamo e facciamo tutto mentre lui ce la mette a posto -
- Tu sei pazzo -
- Ma dai è al massimo mezzo chilometro -
- Io non spingo. Manco morto! Sarà un chilometro, minimo, che co‘sto sole fa per dieci e mezzo, su quel cazzo di stradone senza l’ombra di un ombra, in mezzo alla zona industriale che non ci si respira già la sera... prima ci diamo una ripigliata qui all’angolo, poi facciamo venire il meccanico a rimorchiarci - non cedo. Afferro la mia borsa, nonostante scotti anche lei, e mi incammino deciso. Il Marshall, constatato che non si può nemmeno provare a spingerlo il VW, ché il cofano posteriore è tuttora ustionante, svela le sue carte, truccate :
- E vabbe’ andiamo, però io i soldi per la bianca non ce l’ho, devo pagare il meccanico -
- Ma come, se era già in programma? -
- No, no. Io i soldi per la bianca non ce l’ho. -
Ora capisco perché ha cominciato a parlare di coca anche lì al villaggio dove non ce n’è! Mi ha fatto venire l’acquolina in bocca per farsela offrire, il porco!
Ma fa troppo caldo per litigare. E così ci accordiamo per cinquanta a testa di bianca e cento l’uno di erba .
- Dammi i soldi che vado io -
- Col cazzo -
Il Baffo è lì, sudatissimo, stazionato all’ombra dell’unico albero in vista che cresce di fronte casa sua, affiancato dai suoi gorilla, armati di cellulare in una e di birra nell’altra di quelle loro grandissime mani.
- Non è aria oggi ragazzi! Meglio che non vi fate vedere qui ! - aria di casini - Come, non sapete niente? Ieri hanno fatto l’anti-doping alla Polizia... sapete il governo è cambiato: ne sono usciti positivi novantasei, persino il Giudice! Tutti licenziati in tronco! È tutto fermo! Qui non ho nulla, niente di niente. E passano ogni dieci minuti: andatevene che sennò vi caricano! - cazzo, che sfiga, pure gli sbirri drogati ci mancavano! Però quel “qui non ho nulla” mi fa insospettire, e così insisto, e insisto sino a fargli promettere che in un’ora circa ce la porta, non qui certo, ma dal meccanico; si fa spiegare quale.

    Mi caco sotto, letteralmente, ma solo uno spruzzetto, quando, due ore dopo, fuori da quel meccanico vedo spuntare all’orizzonte tremolante per il gran caldo una macchina che potrebbe essere quella del Baffo mentre il Marshall ingurgita tranquillo una birra dopo l’altra molestando il meccanico che sta sotto il maggiolino, parlandogli a ciclo continuo di coca, erba e quant’altro:
- Voi non la usate? -
- No, siamo sportivi, noi - risponde l’apprendista, mentre il meccanico tirandosi fuori da lì sotto, sporco dalla testa ai piedi del nostro olio bruciato, dice:
- Non so come non abbiate fuso... il motore, dico -
La pick up bianca tira diritto veloce, non è il Baffo, mi sono cagato sotto per niente, e non so come pulirmi; ma l’occasione me la da il Marshall che, vista la necessità di alcuni pezzi di ricambio necessari per resuscitare il motore, mi invita ad andarli a comprare:
- ... così prendi pure una birra a testa, gelate ché c’ho l’arsura co’sto caldo, ci saranno quaranta gradi qui al sole! -
- Più di cinquanta - fa il meccanico - e giacché ci siamo prendete pure una cinghia di trasmissione nuova , e... niente birra per noi, meglio una coca -
- Allora due birre e due Cocas vuoto a perdere- dice il Marshall porgendomi un’enorme banconota, che sino a poco prima diceva di non avere.
Io non ho molta voglia di rifarmi lo stradone, ma almeno potrò andare al cesso, e mi incammino, è la seconda volta che faccio questa strada a piedi oggi. La prima volta, ringalluzzito dalla speranza datami dal Baffo l’ho fatta spingendo il maggiolino arancione fra gli schiamazzi dei pochi ragazzini presenti, ed erano due i chilometri! Per fortuna prima avevamo mangiato. Lasciato il Baffo infatti eravamo decisi ad ingannare l’attesa andando a mangiare il pesce fresco, ma, fatti pochi passi, già rinunciammo ché Il Pirata sta in centro, un paio di chilometri, e ci siamo buttati nella rosticceria dell’angolo. Ordinato un pollo arrosto e Coca Cola, ché il Marshall, quando mangia, non beve, guardo EL Sol de San Luis Potosì afferrato sul bancone all’entrata e per fortuna mi torna il buonumore ché il quotidiano intitola così:
“OGGI MANIFESTAZIONE DEI POLIZIOTTI TOSSICI NELLA CAPITALE. RIVOGLIONO IL POSTO DI LAVORO !”
Ho divorato il mio piatto, il suo, la mia insalata e persino la razione da riportare al cane cui restano infine solo pochi ossi - che strano! qui ai cani non fanno male le ossa di pollo, anzi pare che proprio siano di loro gradimento! -

    Ma il flusso dei miei ricordi si interrompe che sono arrivato in zona, non vedo birrerie o locali pubblici che possano avere un bagno, ed entro nel negozio di autoricambi dove c’è un gruppetto di persone intente a bere intorno ad una cassa di polistirolo, enorme, piena di ghiaccio e birre, me ne faccio una mentre osservo l’addetto che tira giù con un palo una ad una quasi tutte le cinghie di trasmissione per trovare quella che serve a noi - è di un tipo obsoleto - commenta - ... come la macchina - aggiungo io, provocando un’ondata di buonumore fra gli avventori dell’improvvisata cantina.
La Coca Cola al contrario non è imboscata, ma in bella mostra in un grande frigo rosso nuovo fiammante; pago, prendo i pezzi ed esco. Per un bagno non c’è verso, ma oramai mi si è già seccata, era solo acqua, o meglio birra, ed il caldo torrido avrà fatto fuori anche l’eventuale puzza, ma in ogni caso mi sento depresso ed umiliato, comincio a pensare che il Baffo non si farà vivo, che non riusciremo a concludere niente, la vedo nera insomma  ed un sordo dolore comincia a martellarmi la testa, ergo, di fare le mie telefonate proprio non ho voglia, e così supero di buon passo la prima cabina che vedo dall’ultima volta che sono stato in città. Mentre tracanniamo le birre la macchina infernale viene messa a posto, ed il motore riparte. Il Marshall promette che pagherà la riparazione la prossima volta - ... tanto sto pensando di cambiare tutto il motore, se me ne trovi uno a buon prezzo - e ci rimettiamo in marcia verso la casa del Baffo, anche se non ci crede più nessuno, trattenendoci lì solo il tempo necessario ché il posto è puntatissimo dalle varie forze dell’ordine, chi per arrestare, chi per comprare, la maggior parte per entrambe le ragioni.
- No - il Baffo conferma i nostri sospetti - oggi proprio non me la sento - e nel pieno sole delle tre del pomeriggio, l’oscurità cala di fronte a me.
- Cazzo, mi serve l’erba! - fa il Marshall che sembra tornato in vita ora che il suo VW cammina miracolosamente da solo e, avendo bevuto abbastanza e fatto finta di mangiare, ha voglia solo di fumare - andiamo in centro, l’Hippy saprà qualcosa, è sempre in piazza lui! -
Ma l’Hippy ha da fare per mettersi a cercare con noi, e poi anche lui conferma che, vista la situazione, è proprio difficile trovare qualcosa, e non solo per oggi, ma almeno fino a quando non si regolarizzi il tutto, cioè quando, ci spiega con fare esperto, la nuova Polizia si sentirà bene in controllo e, stabilite le nuove tariffe, potrà ricominciare il business, ossia rifornire i pusher della preziosa polvere bianca, che vale molto più dell’oro. Per l’erba è molto difficile, ché essendo una droga povera e per poveri, è molto più osteggiata dal potere, che è dei i ricchi e ama i loro vizi. Però alla fine l’Hippy una dritta ce la dà:
- L’unico è lo Zoppo, sai alla Lagunita - cazzo, il quartiere più sfigato e squallido della regione! Partiamo in tromba, ma dopo un paio di centinaia di metri ci fermiamo, c’è l’Afro che, zaino in spalla, trascina per la strada un enorme tamburo dirigendosi verso la stazione degli autobus.
- Vuoi uno strappo, Afro? Dai salta su! Andiamo a farci due canne e fra poco saremo di nuovo in montagna, dove stai? ti fermi a casa mia, sì?-
Povero Afro, non sa in che guaio si va a cacciare! penso io, mentre sposto la mia borsa e butto fuori vari rottami per far spazio a lui ed al tamburo sul sedile posteriore. Si è spuntato le dread l’Afro, qualcosa di inconcepibile per me, ma lui, che ha poco più di vent’anni, è Afro solo di nome, si sa, e ciò a causa di quei suoi labbroni sexy, coi quali non si stanca mai di baciare qualsiasi ragazza gli capiti a tiro, che contrastano con quelle due fessure di occhi che ricordano di più un siberiano che non un negro.
Non facciamo in tempo a ripartire che al primo incrocio un’enorme camionetta rossa già ridotta male ci nega la precedenza e, volontariamente, lentissimamente ci viene addosso e quasi butta l’Afro fuori bordo.
- Ti sei fatto male? hai preso una bella botta - gli dico e, rassicurato dalla risata dell’Afro a cui non si può certo dare la colpa della malasorte, ché ce la tiriamo dietro dalla mattina, né sentirci responsabili noi del non averlo avvertito ché tanto sarebbe venuto lo stesso,  faccio al Marshall: - Continua! adesso non ci vede, non può prendere la targa, è coperto dall’angolo, continua! tira dritto! andiamocene da ‘sta cazzo di città di merda! -
Ma no, troppo preoccupato per il suo preziosissimo rottame, il Marshall accosta e si ferma per controllare i danni. Arriva l’investitore. È grosso, ben vestito e parla animatamente dentro un walkie-talkie nero - cazzo! contro uno sbirro dovevamo andare a sbattere! -
Ma era tutta scena, non parlava con nessuno e forse quella radio era pure finta, un giocattolo del figlio casualmente in macchina o, ed è più probabile, tenuta lì appositamente per terrorizzare le vittime delle sue turpi e sicuramente recidive attività automobilistiche, ma, tant’è! la scena, sulla scena di un incidente fa sempre scena, e così il Marshall promette di pagare tutti i danni del distinto signore: un graffietto sulla targa anteriore mentre noi abbiamo il parafango posteriore sinistro completamente ripiegato sulla ruota, e quindi chiaramente, non essendo in Inghilterra, la ragione... Ma le promesse non bastano e così, dopo esserci messi tutti e tre lì a tirare la lamiera contorta per riuscire a far muovere la macchina senza danneggiare il pneumatico, partiamo con entrambi i mezzi alla ricerca di un carrozziere nei dintorni. Chiaramente il falso sbirro ne conosce uno proprio lì alla prima traversa, dove veniamo raggiunti quasi subito da un’anziana signora tarchiatella, testimone dell’incidente, che si è fatta tutto il cammino a piedi sotto al sole con due enormi sporte della spesa probabilmente più nella speranza di godersi una bella scazzottata fra i capelloni forestieri ed il senz’altro noto bandito locale e di aver così  qualcosa di cui spettegolare colle sue comari per i prossimi giorni, o mesi, che non per rendersi utile in qualsiasi maniera, ma deve accontentarsi di raccontare concitatamente sette otto volte la dinamica dell’incidente ai carrozzieri evidenziando ogni volta il fatto che lei era proprio lì all’angolo a fare la spesa ed aveva visto tutto; aggiungendo infine, ma una sola volta, sottovoce, che se ne intende lei, ed avevamo ragione noi.
L’Afro sparisce nella birreria dell’angolo, deve ancora riprendersi, dice, dal viaggio di circa mille chilometri che lo ha riportato indietro appena adesso dalla recente visita a sua mamma ed emozioni relative; io mi rifiuto persino di scendere dalla macchina oramai risoluto a farlo solo una volta a casa, e così sto lì seduto mentre la temperatura avrà raggiunto i settantottomila gradi all’ombra, uno per ogni cazzo di abitante di questa postazione avanzata dell’umanità in terra ostile, a testa scoperta sotto al sole facendo attenzione a non toccare le lamiere della macchina. Il caldo non pare costituire un problema per l’apprendista carrozziere che armeggia sorridente a mani nude fra i metalli arroventati distratto solo dal Marshall che di tanto in tanto si fa portare un bicchiere d’acqua calda che butta giù di un sorso, per calmare la sete tentando al tempo stesso di dimostrare che lui quando guida non beve. Poi paga in contanti la carissima riparazione alla targa del pirata della strada eseguita personalmente dal titolare della carrozzeria, mentre promette al giovane di tornare l’indomani a dargli le 20 carte dovute - ... tanto siamo di qui, e così sistemiamo anche il paraurti... sì per adesso mettilo nel portabagagli , ah, non c’entra ? allora lì dietro per dritto fra lo zaino ed il tamburo - se l’è veramente meritate 20 carte il ragazzo che ha fatto un lavoro da maestro, dando per più di mezz’ora leggerissimi colpetti con un enorme martello, da sopra e da sotto la macchina, ma sempre sotto al sole, ed ora il parafango è rimesso letteralmente a nuovo, sorride, ma non credo che s’illuda di vedere mai il suo compenso. Io ho avuto il tempo di fare mente locale e quando ripartiamo prenoto una sosta al primo telefono pubblico: - farò quello per cui sono venuto! Nonostante il cerchio alla testa, la sbronza, la sfiga ed il Marshall! - Ma la voce registrata dell’operatrice, che da Singapore risponde al mio numero magico il quale mi permette di parlare con i cinque continenti a spese di una qualche multinazionale, blatera qualcosa a proposito di un numero di codice non più valido - cazzo, mi hanno tagliato fuori! - e risalgo smadonnando in macchina :
- Andiamo via, Marshall, tutti i segni sono negativi, non lo vedi da solo? Qua va a finir male oggi, non voglio dormire in galera stanotte. Al Cedral c’è l’erba ed è buona e non c’è tutto ‘sto casino, qua ci siamo già fatti notare, niente coca... ma andiamo via smammiamo! -
Però il maggiolino già fila verso la Lagunita, che sembra più aperta campagna che non un quartiere seppur periferico di una normale città, e lì sotto l’ombra dell’unico albero incontriamo un gruppo di operai seduti sulle pietre intorno ad un cassa di birra. Saluti personali reciproci e già ci troviamo con una birra calda a testa in mano, mentre lo Zoppo, che zoppo non è ma lo era suo padre, inforca la sua bici e dice che in cinque minuti ci porta l’erba. Gli diamo i soldi ed aspettiamo, la banda si insospettisce un po’ per il mio malumore e perché io non scendo dalla macchina a familiarizzare con loro che d’altra parte parlano di calcio, io, per tenermi fuori sono costretto a dichiarare di essere un turista e di parlare solo inglese.

    - Per l’erba c’è da aspettare un’oretta che la stanno pesando - fa lo Zoppo al suo ritorno, un paio di birre dopo - se volete c’è la svelta subito -
Brontolio nelle mie budella... conto sul Marshall, che però si fa restituire i soldi e dice:
- Ci vediamo fra un po’, ma solo per l’erba , ché noi la bianca non ce la facciamo mica, siamo gente naturale noi: birra e canne, che non si vede? - e partendo fa a noi due: - non c’ha un cazzo lo Zoppo, non è vero niente! -
Non ho la forza di reagire anche se non gli credo, il fatto è che a lui in realtà la coca non piace, lo manda in paranoia, a me pure se è per questo... comunque sono troppo felice che abbiamo deciso di andarcene da Matehuala.
... Non so come, ma ci troviamo ancora a passare per il centro. Ci strombazzano dietro. Un’auto sportiva quasi da corsa di un vistosissimo color arancione incredibilmente simile al nostro con i pneumatici che larghissimi le spuntano sui lati, dalla quale trabocca un tale numero di decibel da sembrare una discoteca mobile, è guidata dal figlio del Baffo che ci saluta gridando - Zero! non c’è niente - e fa uno zero col pollice e l’indice per i pochi passanti che, assordati dalla musica, potrebbero non aver capito bene; ma sceso dalla macchina aggiunge: - bé il personale per fumare ce l’ho. Sì dai, andiamo a farcene una, ma non qui, c’è da stare in campana oggi ma conosciamo noi un posto tranquillo, seguiteci, ché facciamo il giro lungo per far perdere le nostre tracce... –

    Ed il corteo di macchine parte, vistosissimo: prima la discoteca mobile arancione, coi due noti individui accompagnati da due superfighette, poi noi, col maggiolino di un arancione una puntina più scuro, dal cui abitacolo, colla cappotta aperta, emergono tre zazzere fra cui la mia, che mi tocca le spalle, sfigura; e l’enorme tamburo dell’Afro. Durante la tortuosa operazione di depistaggio attraverso l’intera città passiamo davanti alle caserme di tutte le forze dell’ordine presenti nello Stato. Finiamo un’altra volta nella strana zona della Lagunita dove finalmente la macchina sportiva accosta sotto un albero.
- La roba qui non ce l’ho,  ma qui vicino posso comprarla, quanto? - fa il figlio del Baffo.
- Ma allora è la stessa storia dello Zoppo! -
- Sì, ma a questi gliela danno! dai caccia i soldi! -
Minuti di battaglia ché il Marshall sostiene di avermeli già restituiti ed io dico di no, mentre l’Afro non ne sa niente; dopo aver contato e ricontato i suoi contanti ed essersi fatto i conti più di una volta il Marshall si convince.
-    Cinque minuti! - fa il figlio del Baffo.

    Ma passa tanto di quel tempo, ed il caldo non accenna a diminuire che il Marshall e l’Afro vanno alla birreria lì di fronte, unica costruzione nei paraggi, mentre io mi dirigo verso i campi per quella cagata che sto reprimendo sin dai tempi del meccanico, quelli che a me paiono secoli fa.
Quando esco dal cespuglio vedo tornare il figlio del Baffo e mi dirigo soddisfatto verso di lui.
Dal nulla sale fuori un grosso pick-up bianco, piomba in zona, ne scende la borghese, la terribile judiciál, e blocca il figlio del Baffo, prima ancora che sia uscito dal campo.
Io svicolo, non mi hanno visto.
Ho l’occasione di svignarmela, potrei ributtarmi nei cespugli ed andarmene per di là, gli sbirri mi danno le spalle mentre tengono il ragazzo colle mani sulla macchina e lo perquisiscono. Ma io no, stronzo! non so se per un falso senso di solidarietà o, molto più probabilmente, a causa del cervello annebbiato dalle molteplici birre della giornata che impediscono alla paura di rendermi efficiente e farmici vedere chiaro, mi ritrovo ad attraversare la strada diretto alla birreria per unirmi al Marshall e l’Afro che non sorreggono più il muro dell’edificio, ma, anzi stanno penetrando fin nei più oscuri recessi del locale.

    Melliflua voce dall’esterno:
- È vostra la decappottabile? -
Fregati ! Si va tutti in galera, cazzo, ed io lo sapevo da stamattina! E perdipiù sono l’unico di tutta la banda che non ha i soldi in tasca, né una carta di credito o un bancomat, né d’altra parte un conto in banca. Me li presterà qualcuno dei correi i denari per la cauzione?
- Che fate da queste parti? - domanda casualmente lo sbirro mentre ci scorta verso il maggiolino.
- Cerchiamo un meccanico - dice convintissimo il Marshall in una zona dove oltre alle droghe non si trova niente se non la birra e forse, ma con molta fortuna, un qualche piccolo alimentari - sa, capo, ho comprato la macchina ieri, e non è ancora a punto, la trasmissione, l’impianto elettrico, ci siamo fermati a domandare a questi della birreria, ma non mi hanno saputo indicare un meccanico nella zona, e, sa, in centro non vogliamo andarci, qui siamo di strada per tornare su al Real, sa, noi viviamo lì -
- Lo so - fa lo sbirro.
- Ma pure io la conosco ... sa, l’ho già vista, è già venuto su da noi, vero? me la ricordo la sua faccia... -
- Sì, talvolta, per controlli di routine come quello di oggi, nulla di cui preoccuparvi. - mentre praticamente smontano la macchina senza trovare nulla, io colgo l’occasione per guardarmi intorno: il figlio del Baffo ed il fratello sono nervosi, tenuti a distanza da noi, le due ragazze sono nel macchinone ed armeggiano spensierate collo stereo, probabilmente del tutto ignare del casino in cui ci siamo cacciati, cazzo! ora anche se a noi non ci trovano niente, ci arrestano a tutti con quella che hanno trovato al figlio del Baffo... lui non li aveva visti, io dalla mia posizione me n’ero potuto accorgere, né ha buttato niente, l’avrei notato collo sguardo fisso che avevo su di lui, deciso com’ero ad intercettarlo per farmi dare tutto prima che comparisse il Marshall, non per fregarlo certo, ma per non farmi fregare da lui... per fortuna non ne avevo avuto il tempo. L’altro ufficiale, quello anziano, che non si sporca le mani colla nostra macchina, domanda:
- Già li conoscete, vero? quelli dell’altra macchina? -
- Mai visti prima! - ma come! penso io, se ci hanno seguito, l’hanno visto che eravamo insieme, hanno visto tutto! ci avranno seguiti dal centro o da una delle caserme cui siamo passati di fronte, hanno visto tutto! quando gli davamo i soldi persino, ed hanno aspettato nascosti che tornasse per fregarci colla roba in mano; magari hanno fatto pure le foto!
- E lei da dove viene? - ce l’ha con me.
- Italiano -
- Ah! E qual è il suo bagaglio? - mentre gli porgo la mia borsa, insiste:
- E qui che ci fa? Così lontano da casa sua... - cogli occhi che già gli brillano pensando ai soldi che un turista deve avere con sé, ignaro della dura realtà che, al momento, sono di certo quello più al verde di tutta la differenziata umanità qui riunita in allegro convivio.
- Scrivo, ché il Vostro splendido paese mi ispira - sottolineando le mie parole col fatto che l’altro sta tirando fuori quaderno e penna e libri dalla mia borsa; ma, arrivato ai floppy disk, fa:
- e questi? -
- Il mio lavoro -
- È un ingegnere lui - la spara grossa il Marshall - un vero mago del computer, uno che viene dall’Italia - strascinando la parola Italia, come si trattasse di una magica chiave per tirarci tutti fuori dai guai.
- E Lei che fa su in montagna? - lo interrompe l’ufficiale anziano.
- Io, capo, faccio tatuaggi , è il mio lavoro, sa, ché non si vede dal mio look? - e, rivolto, al più giovane - Ho molti poliziotti fra i miei clienti! -
- Ma che dici, noi non possiamo... -
- Lo so, lo so, ma se li fanno fare quassù, sulla spalla ma sotto la maglietta, per non contravvenire al regolamento, io me ne intendo, sono professionale - si corregge al volo il Marshall, strascinando la parola, che lui vede come un altro salvacondotto, poi continua - Quando capita al real, fra una perquisizione e l’altra, passi da me, mi conoscono tutti, basta chiedere, ed in mezz’ora gliene faccio uno, collo sconto, chiaro, per gli amici! Per esempio il simbolo del vostro corpo qui sulla spalla, vanno per la maggiore fra i suoi colleghi, sa... No! bé allora una madonnina, è cattolico vero? come me, siamo tutti devoti della Vergine qui, e Lei ha senz’altro bisogno che lo proteggano dall’alto, col mestiere che fa... -
- Poche chiacchiere! - fa il capo - dov’è la droga? -
- Drogaaaa? - cadiamo dalle nuvole tutti e tre - Noi? Che sembriamo dei tossici, per caso? -
- Non ci prendete per il culo almeno, ché se ve la troviamo noi vi sbattiamo dentro, se invece ce la consegnate spontaneamente adesso... Collaborate! e ne terremo conto ... -
- Non abbiamo niente - fa il Marshall, tornando a più miti consigli - noi beviamo, qualche birre, ci avete trovati in cantina, no? Ah... Bé sì, qualche cannetta ce la facciamo, come tutti, ma solo quando capita, dobbiamo lavorare... non abbiamo tempo da perdere, noi, mica siamo più dei ragazzini, e poi è troppo cara, qui. A casa mia, nella capitale... aah, lì sì! Ma qui preferisco farmi due o tre birrette che una canna, mi costa meno - mente spudoratamente il Marshall, che per alzarsi dal letto lui ha bisogno di farsi due enormi cannoni, e da solo.
- E Lei? - di nuovo sono preso di mira personalmente! - Noi lo sappiamo bene che gli scrittori... per ispirarsi... si drogano tutti. -
- Io? - con fare innocentissimo - io scrivo solo poesie d’amore. -
Come richiamate dall’ultima parola pronunciata, la prima di un tono più confacente alle loro beltà, le due ragazze scendono dalla macchina e vanno a ripararsi all’ombra, sotto un albero.
- Non vi impaurite Signorine, abbiamo finito qui, e ora ce ne andiamo tutti a far festa, se non dovete studiare ...- la butta lì, sempre galante, il Marshall.
- Perché le parla? Vede che allora già vi conoscete? Documentii! - perde la pazienza l’ufficiale anziano, è nervoso, e l’altro pure,  mentre il figlio del Baffo ride; che? forse non gli hanno trovato niente! ... o non gliene frega niente a lui ... che ha il papà in affari colla Polizia.
Per fortuna il Marshall la macchina l’ha veramente comprata, ed ha le carte in regola e ieri ha persino preso la patente! ma l’Afro, già sospetto come hippy in possesso di un cellulare, ed io non ce li abbiamo, i documenti... casino...
- Io ce li ho a casa - dichiaro - ché già me li hanno rubati altre volte, e non posso rischiare, così li affido sempre al padrone di casa, tanto a me non servono. -
- Non servonoo!?! - sbalorditissimo il giovane sbirro, col suo mondo di carte bollate che gli sta crollando intorno - ma come se qui persino un cane che passa per la strada deve avere la sua medaglietta di identificazione! -
- Ma io non sono un... cane! - e, offesissimo, risalgo in macchina e mi siedo al mio posto.
Il capo pattuglia, per farlo riprendere dallo smacco, gli ordina drastico:
- Una 246! a tutta la zona! - e quello parte a controllare prima le siepi poi la strada che abbiamo appena fatto mettendo le sue mani da sbirro in tutti i rifiuti che incontra, cazzo! vogliono proprio fregarci, e in prima facie!
A quel punto l’ufficiale anziano si avvicina alla macchina e ... lo vedo! Già l’avevo notato prima con quel suo manico d’avorio intarsiato da quelle che sembrano tante tacche di altrettante vittime, ma ora che è lì a fianco a me che pende dal cinturone dello sbirro lo riconosco bene:  è lo stesso enorme pistolone nero, forse una 45 magnum, proprio nella stessa posizione sua, alla mia destra, giusto fuori dalla macchina, fra il deflettore e lo specchietto rotto.


Rodolfo de Matteis - 2001