FEDERICO

Il grande re si svegliò presto quel dì
porse grazie a Morfeo per il dono
del non rubargli l’ora più preziosa,
egli grande re aveva libertà
di alzarsi tardi se ciò voleva,
ma poi languiva l’umor suo in pena
come il bracciante la domenica
tanto vuoto che si gonfia di vino,
e s’ottenebrava di presunzione
come quei generali suoi giovani,
troppo giovani e ricchi  per capir
degli uomini oscuri l’affanni
e la sacralità del sangue loro.
Dovette uscir subito sul mare
onde camminare prima del sole
in riva fra quei magici colori
che son cangianti intorno all’alba
e più chiamavano alla memoria
quelli della sua terra sì lontana
ch’egli veder non avea mai potuto
e qui finiva la sua gran libertà,
egli, re figlio di conquistatori
poteva viaggiare solo in armi
intrise del sangue dei più giovani
guerrieri dei suoi sudditi futuri,
o, se andasse per diporto, del suo.


Ma sorge il sole, il tempo corre
verso i suoi tenebrosi impegni
e solo ora per un momento lui
può uscir dal tempo e dall’impegni
come l’astro da quel mare straniero,
del suo impero ultimo confine.
Voltàti i suoi passi verso casa
l’ombra sua si allunga sul davanti
e talvolta quando cade in acqua
un’aura d’oro e luce la circonda
e brilla in mille increspature
come le gemme brilleran domani
sulla nuova corona al chinarsi
lui davanti al papa, già nemico,
che lo nominerà imperatore
re d’altri re contro il suo volere,
unica via d’ottener quella pace
che le genti e lui abbisognano.
Ma quell’aura d’oro intorno l’ombra
sua nell’acque del magico mattino
dona l’idea del come presentarsi
domani di fronte al gran stregone:
d’oro una maschera lo coprirà
ed un uomo senza volto piegherà
quel ginocchio che giammai egli piegò
per accettare quella corona
che spetta solo al tiranno in ciel
del cui voler è servo anche il re.



Costa dell’Adriatico - 22 gennaio 2002