L'ESPLOSIONE SILENZIOSA

MEGABYTE
Photoinstallazione mia della Torre di Babele del Tate Museum sulla foto di Tomer Ben-Haim di Arambol Beach

 

GOA INDIA ANNI '80

JUNGLA

Caldo il giorno tropicale, alle 8 di mattina é già molto, troppo caldo.
Almeno in questa stagione: ma sono fortunato, sono vivo; non che ne dubiti mai, la mattina di esser vivo quando mi sveglio.
È la notte il problema.
Dopo un periodo senza dormire durato troppo a lungo, ho cambiato sistema, la notte devo far qualcosa: un sacrificio, un rituale, anche fumarmi una semplice sigaretta, non per piacere o per religione, semplicemente, crudamente, per restare in vita fino alla mattina seguente, almeno.
È molto tempo che dura questo casino, dall'esplosione silenziosa.


È così che io ho immediatamente chiamato ciò che ho percepito chiarissimamente in quel giorno di terrore e di gloria, come una potentissima, deflagrante, immediata esplosione silenziosa di cui mi sono affannato invano poi a cercar notizia dal mio sintonizzatore radio, scandagliandone tutte le frequenze: niente. Silenzio.
Solo fragori di fondo.
Possibile che vogliano far passare sotto silenzio una cosa del genere?!
Con le conseguenze incredibili che essa ha sulla vita della gente...
Certo non mi posso aspettare una reazione da quelli, poveracci, che hanno perso completamente la loro consapevolezza e che vivono come zombie, svuotati, praticamente inesistenti; no, inesistenti proprio, no, sennò cosa dovrei dire di quelli che sono proprio spariti del tutto...
Partiti...  dicono.
Quelli che restano sono come una massa di formiche, laboriose da sembrare intelligenti, se non si capisse la loro vacuità dallo sguardo e, poiché questo può trarre in inganno, ancor di più dalla totale mancanza di spirito di osservazione, di spirito critico, si potrebbe dire di Spirito.


Ci saranno stati per loro dei momenti di consapevolezza di dolore, di follia negli attimi successivi all'esplosione? Ma in quale momento è avvenuta per loro l'esplosione?  un immediato passaggio dalla vita al vuoto e alla schiavitù, e se così, dov'è il padrone di costoro?
Dapprima mi sono sentito formica, schiacciato, attaccato alla terra. 
Formica sì, ma di ferro.
Quel giorno mi son sentito una formica di ferro, con una specie di corazza indistruttibile e tenendomi ben stretto colla Terra mi son salvato dal risucchio, dallo sparire, o dall'esser svuotato e continuare quindi ad arrancare senza coscienza.
Cosa stavo pensando un attimo prima, dove stavo andando, e perché? (cosa é successo? gridava ogni cellula del mio corpo oppressa dalla radiazione invisibile)  ma non caddi nella trappola di voler razionalizzare, né nel panico e la follia così scontati quel giorno. Presi semplicemente atto della situazione, come quando ti esplode in corpo un qualche potentissimo allucinogeno.


Come l'uomo dell'antichità camminava nella sua foresta primigenia guardando al cielo dei suoi dei, più vicini allora, senza discutere senza ribellarsi ma solo fiero del suo corpo forte, così.
... passano alcuni lavoratori, scuri sudati vestiti delle loro pezze, avanzano camminando silenziosi e stretti tra loro, può esser solo l'abitudine a guidare la vita di questa gente? È solo il ricordo dei loro corpi ad eseguire gli stessi gesti, procedure sempre identiche, copie di ciò che facevano prima... quando sapevano ciò che facevano?
... ecco un altro gruppo, più rumoroso del precedente, avanzano chiacchierando e cantando e scherzando, ma ormai è troppo tempo che va avanti così per loro ed ho perso la speranza di trovarli un giorno guariti.
Come si trovano davanti a me piomba il silenzio e sono assalito dall'ansia del vuoto delle loro menti, dal grido a loro stessi forse inaudibile che emettono tutte le cellule dei loro corpi, e mi restano intorno, fissandomi senza dir nulla... la situazione potrebbe sembrare pericolosa, ma no, nei loro sguardi non c'è violenza, solo vuoto.

 

SPIAGGIA

Il bagnasciuga di notte in riva all'oceano è caldo, calda è l'aria, morbida e vellutata l'atmosfera.
Bello, sto bene e cammino lungo la linea del mare, lontani i ristoranti alla fine della spiaggia, non mi giunge il suono delle loro voci, della loro musica, coperto com'è dall'infrangersi delle onde a me più vicino in ogni senso, non li guardo, non li vedo, solo, avanzo a passo sostenuto  ma  tranquillo. Le luci, ecco solo le luci sarebbero capaci di incantarmi; come Ulisse dovette infilar tappi di cera nelle orecchie dei suoi marinai per farli procedere nonostante il potente richiamo delle sirene, così io devo guardar diritto davanti a me nell'accogliente, silenziosa, sicura e densa oscurità della notte. Ogni luce, se solo la guardassi, mi farebbe inesorabilmente deviare la rotta, mi attrarrebbe a sé, e solo tardi ed a fatica potrei accorgermene... e poi la battaglia, durissima per riprendere il mio cammino mi lascerebbe letteralmente senza respiro, immobilizzato ad annaspare come un pesce fuor d'acqua, se ancora una volta avessi avuto la forza di non lasciarmi trascinare verso quelle fredde luci pulsanti.
L'unica ragione per non lasciarsi andare è la tragicità del farlo. L'unico modo la drammaticità nel non farlo.


Lo sforzo immane che poi non è più sforzo, ma una volta iniziato è lotta per la sopravvivenza, un appello alle profondità dell'essere, trovare la ragione di vivere, se non fosse per il terrore del soffocamento; epperò devo vincerlo e far riaffiorare da una memoria antica che ho in me la conoscenza della respirazione consapevole; quella che dona la calma, e freddamente comandare ai polmoni le inspirazioni e poi le espirazioni, lente, profonde e drammaticamente non automatiche: una sola distrazione è rischio di morte o di qualcosa di più orribile, se questo è stato ciò che ha succhiato via la consapevolezza alla gente che si aggira oramai spenta per i sentieri della sua stessa disperazione.
Insomma il dominio cosciente sull'involontario è oramai divenuto indispensabile. L'attrazione e la repulsione o meglio il loro implodere in un momento ed in uno spazio solo. Il brivido del ricordo. La calma estrema della sfida alle luci... respirazione controllata mentre il pensiero riesce ancora a domandarsi un perché; la consapevolezza di come non siano semplici lampioni, ma calamite per il mio corpo, la mia mente e probabilmente anche per la mia anima; magneti senz'altro, ma di quale energia malata?


E il dubbio atroce, anche se non riesco ancora a crederci e quindi a poterlo formulare, è che siamo tutti prigionieri in una perfetta realtà virtuale, controllati, osservati, diretti da padroni a noi invisibili che dalla loro realtà hanno creato questa dimensione allo scopo oscuro di condurre questo esperimento, come un maledetto torneo nell'arena di questi stramadeletti moderni Neroni... Eppure sembra più plausibile questa folle spiegazione alla scoperta che la realtà possa rivelarsi più assurda del sogno più improbabile... ma queste riflessioni sono pur sempre uno sprazzo subitaneo nel fluire della mia affannosa (e letteralmente tale!) esistenza che non può lasciare spazio alla meditazione o meglio alla discussione interiore e razionale sugli accadimenti.
I larghi spazi di vuoto in cui il tempo pare fermarsi fra un'emergenza e l'altra sono davvero vuoti, una cappa di spossatezza gettata sul mondo, il suo orizzonte è nero pure di giorno, la fatica di vivere si esplica perlopiù nella decisione del volerlo fare prima ancora che nell'agire di conseguenza, operazioni veramente sovrumane...
E gli dei e i demoni che  talvolta incontro non bastano a togliere quella puzza di morte che sento...


Ripenso ad una volta in cui seduti intorno al fuoco la notte volò via veloce: alla chitarra ed alle solite possenti percussioni quella sera si unì un clarino che ululava la sua energia alla Luna, io sbriciolavo il fumo fra il tabacco, caricavo i tubi transdimensionali, li accendevo e li passavo ora a destra ora a sinistra... il canto di quella vera donna raggiungeva tutti alla base della spina e saliva su fino alla nuca come un brivido, forse era l'effetto del cocktail circolato a mezzanotte.


Quando il suono delle ossa che venivano spezzate mi raggiunse, mi volsi e vidi il chitarrista che con una sbarra di ferro batteva sui legni arsi del fuoco per rigovernarlo, ma non era legna bensì ossa umane che bruciavano nel fuoco! il rumore me lo disse dapprima e poi quando egli ne estrasse un pezzo lo vidi pure: un femore che fece il consueto suo schiocco quando lo lasciò cadere fra le fiamme vive... mi guardai intorno, tutti parevano tranquilli, assolutamente non allarmati dall'avvenimento, fermi come statue di cera i cui pochi movimenti in occasione del passaggio di una bottiglia o di una canna non ne turbavano affatto l'immobilità mentale, né il sorriso della ragazza che mi passò lo spino che presi evitando il contatto della sua mano che immaginavo fredda come la morte che aleggiava lì intorno, mi avventai con tutta l'energia vitale delle mie cellule che si ribellavano alla morte in una danza vecchia come il primo movimento nel vuoto cosmico se mai il mondo è nato e fui strozzato... dal tiro da cui mi aspettavo una schiarita, un risveglio dall'orribile sogno, da quel concretissimo tiro che non aveva assolutamente le caratteristiche del sogno ma è crudo e reale come non mai scattai in piedi tossendo come un disgraziato nel silenzio del riposo dei musicanti spezzato solo dagli scoppi della mia tosse bastarda che somigliavano talvolta a conati di vomito dalle profondità del mio corpo saliva il rifiuto alla puzza di morte, al gusto della carne umana bruciata che aveva avuto quel tiro e che esplodeva con tutta la sua ancestrale violenza...


Il sole era oramai alto nel cielo e al seguito del chitarrista che teneva il tempo come gli antichi battitori nelle galere tutti noi ondeggiavamo a destra e a sinistra impossibilitati a fare altro legati come eravamo da quelle invisibili catene che ci costringevano intorno a quel fuoco maledetto nel quale ancora bruciavano le nostre ossa, e bruciavamo noi il nostro tempo sudando lì sotto al sole davanti alle fiamme crepitanti e cantavamo in coro, ma le oramai morte parole gioiose di un vecchio reggae non riuscivano di certo a sollevare il morale dei condannati alla festa, condannati al divertimento, all'ottimismo, a quel vecchio sole che oggi nuovamente tiranneggia sui nostri capi;  la sensazione di realtà dura e pura di quella atroce situazione era fortissima, antiche come la storia dell'uomo quelle catene che ci legavano al consumarsi delle nostre ossa nel fuoco, al fumare le nostre carni, mentre dovevamo anche cantarne la gioia... ma il chitarrista lo sapeva?


Solo ora dopo quell'esplosione che pare non esserci stata ma le cui conseguenze sono così potentemente innegabili, durante la mia camminata notturna sul bagnasciuga dritto avanti senza cadere irretito dalle lanterne, ora che mi sovviene alla memoria quell'altra notte di tanti anni fa, mi rendo perfettamente conto di come i due avvenimenti così fossero collegati in una trama sola, come due perle  adiacenti di quella collana che ora stava a me di indossare come segno di potere e non come collare da schiavo.

 

copyleft Rodolfo de Matteis 1994
Creative Commons Attribution-NonCommercial-ShareAlike 3.0 Unported License
.